Contenzioso

Compensazione spese, sale il rischio liti del lavoro

di Giampiero Falasca

La sentenza 77/2018,con cui la Corte costituzionale ha ampliato lo spazio per compensare le spese di lite in favore della parte soccombente (si veda il Sole 24 Ore del 20 aprile), avrà un impatto molto negativo sul contenzioso di lavoro.

Negli ultimi anni il legislatore ha tentato di rendere più selettivo l’accesso al contenzioso di lavoro, cercando di bilanciare il diritto costituzionale di ottenere tutela giudiziaria con l’esigenza di velocizzare il processo. Uno dei punti chiave di questa strategia è stato il rafforzamento del principio generale che regola la materia delle spese nel contenzioso civile e del lavoro: chi perde la lite deve pagare le spese processuali alla parte vincente, salvo alcune eccezioni limitate.

In particolare, il decreto legge 132/2014 ha ristretto notevolmente lo spazio di discrezionalità del giudice, cancellando la regola che consentiva di compensare le spese in presenza di «gravi ed eccezionali ragioni». Questa clausola nella prassi applicativa aveva dato luogo a interpretazioni difformi e a letture particolarmente tolleranti verso i lavoratori sconfitti in giudizio, che raramente venivano chiamati a sostenere le spese anche quando perdevano la causa.

Secondo la nuova disciplina del 2014, la compensazione delle spese sarebbe stata possibile solo per l’ipotesi di «assoluta novità della questione trattata» oppure in caso di «mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti».

La sentenza 77/2018 azzera queste innovazioni, reintroducendo la possibilità per il giudice di compensare in tutto o in parte le spese anche quando sussistono «altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni».

I motivi addotti a sostegno della decisione sono apparentemente ragionevoli – la disciplina del 2014 è stata giudicata lesiva del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto lasciava fuori fattispecie riconducibili alla stessa logica di quelle ammesse –ma lasciano spazio a molti dubbi.

Il nuovo articolo 92, secondo comma, del Codice di procedura civile, infatti, consentirà al giudice del lavoro un margine amplissimo di discrezionalità nella compensazione delle spese, con il risultato che controversie uguali, concluse con sentenze identiche (per esempio nei contenziosi seriali), potranno essere decise diversamente da ciascun giudice, con buona pace dei principi di uguaglianza che si volevano difendere.

Un altro rischio insito nella decisione è quello di incentivare il contenzioso “esplorativo” da parte dei lavoratori, che andranno incontro a rischi ridotti anche qualora promuovessero controversie poco fondate.

La Corte, in verità, ha rigettato la tesi secondo la quale, nel processo del lavoro, la posizione del lavoratore come parte “debole” del rapporto controverso giustificherebbe una regolamentazione diversa delle spese. Questa affermazione è tuttavia vanificata nel momento in cui la stessa Corte precisa che il giudice, per decidere sulle spese, dovrà tenere conto del fatto che il lavoratore abbia dovuto promuovere il giudizio senza poter conoscere elementi rilevanti e decisivi nella disponibilità del solo datore di lavoro.

Considerato che questa ipotesi ricorre sempre - nessuno, salvi casi eccezionali, è in grado di conoscere gli elementi «rilevanti e decisivi» che sono nella disponibilità dell’altra parte - c’è il rischio concreto che si torni a un passato che nessuno più rimpiangeva, nel quale la condanna alle spese di lite era un rischio concreto solo per una parte (il datore di lavoro), mentre non veniva mai applicata al lavoratore, a prescindere dall’esito del giudizio. Un meccanismo che incentiva il contenzioso perché azzera i rischi.

La sentenza 77/2018 della corte costituzionale

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