Contenzioso

L’investigatore privato può controllare il dipendente ma non durante il lavoro

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

È legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore sul presupposto di assenze ingiustificate dal lavoro il cui accertamento sia stato acquisito tramite agenzia investigativa, posto che l'attività di vigilanza non si riferiva all'attività lavorativa vera e propria.

Precisa, in questo senso, la Corte di Cassazione (sentenza 8373/2018) che il ricorso all'attività investigativa esterna è impedito nel caso in cui l'agenzia abbia sconfinato in un controllo sullo svolgimento della prestazione lavorativa, laddove è da considerarsi legittimo se l'attività di vigilanza era diretta a verificare le cause dell'assenza del dipendente dal luogo di lavoro.

Riprendendo concetti espressi da un autorevole insegnamento, la Cassazione osserva che l'intervento delle agenzie investigative è consentito al datore di lavoro non solo in presenza di una avvenuta prospettazione di illeciti, ma anche per il ricorrere del mero sospetto che illeciti possono essere stati compiuti o, addirittura, essere in corso di esecuzione. Ricorrendo queste ipotesi, l'attività investigativa di vigilanza è lecita, a condizione che non sia riconducibile a una verifica sul mero adempimento dell'obbligazione lavorativa.

Il caso sottoposto alla Suprema corte era relativo al licenziamento del dipendente di una compagnia assicurativa, nei confronti del quale, all'esito di una indagine investigativa, era stato appurato il mancato rispetto dell'orario di lavoro in ufficio e il disimpegno al di fuori dell'ufficio di attività estranee alla sfera professionale. Tutto ciò, in un arco temporale protrattosi per 10 giorni.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento sul presupposto, tra gli altri motivi di censura, della illegittimità del controllo investigativo per contrarietà alle norme (articoli 2, 3 e 4) dello statuto dei lavoratori. In primo e secondo grado le censure del lavoratore sono state rigettate. La Corte di cassazione ribadisce adesso la legittimità del provvedimento espulsivo, avvalorando esiti dell'indagine investigativa.

La Cassazione rimarca, a sostegno delle proprie conclusioni, che le garanzie offerte dallo statuto dei lavoratori operano con riferimento alla esecuzione della prestazione lavorativa in senso stretto, rispetto alla quale risulta vietata l'indagine investigativa, e non si estendono, invece, alle condotte illecite di cui il lavoratore si sia reso responsabile in occasione dello svolgimento delle proprie attività professionali, nel qual caso è consentito il ricorso a indagini di terzi.

Per la Suprema corte l'unico limite che incontrano le indagini investigative risiede nel divieto di un controllo diretto sulle modalità di adempimento dell'obbligazione lavorativa, risultando viceversa legittima un'indagine concentrata sul mancato svolgimento dell'attività lavorativa e sulle cause dell'assenza del dipendente dal luogo di lavoro.

Il controllo sul mancato esercizio della prestazione del dipendente, ad avviso della Corte, può avvenire tramite agenzia investigativa anche in forma occulta, senza che ciò si ponga in violazione delle regole definite dallo statuto dei lavoratori o dei principi di correttezza e buona fede.

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