Contenzioso

La clausola elastica illegittima crea sempre danno

di Massimiliano Biolchini e Lorenzo Zanotti

L'illegittimità della clausola elastica contenuta in un contratto di lavoro part-time determina sempre un danno risarcibile per il lavoratore, da liquidarsi in via equitativa. Ciò anche laddove manchi la prova di uno specifico danno, dal momento che lo stesso risulta connaturato alla particolare gravosità di un contratto che preveda la facoltà del datore di lavoro di mutare a piacimento la collocazione oraria della prestazione lavorativa. Questo, in estrema sintesi, il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza 6900/2018.

Nel caso specifico, i ricorrenti agivano per la cassazione di una pronuncia della Corte di appello di Bologna. I giudici territoriali, infatti, pur avendo ritenuto illegittima la clausola che attribuiva al datore di lavoro la possibilità di disporre unilateralmente la turnazione dei lavoratori con contratto part-time, avevano concluso per la non risarcibilità del danno, a causa del mancato soddisfacimento del relativo onere probatorio.

Diverso il giudizio della Suprema corte, secondo cui la violazione della previsione normativa in base alla quale il contratto a tempo parziale deve indicare «la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno» (in base all'articolo 5, comma 2, del Dl 726/1984, applicabile ratione temporis) è sufficiente a generare un danno risarcibile anche in mancanza di prova, potendosi ritenere tale danno in re ipsa.

Ciò in quanto, nell'ipotesi di un part-time a “comando” o “a chiamata” al di fuori dei limiti di legge, la prestazione lavorativa viene ad assumere un carattere di maggiore penosità e onerosità per il lavoratore, il quale si trova a dover mettere a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato. Pertanto, pur non potendosi equiparare la disponibilità alla chiamata del datore a un'effettiva attività di lavoro, la stessa deve pur sempre trovare un adeguato compenso di natura risarcitoria, la cui misura non può essere determinata che in via equitativa.

A tal fine, secondo la Suprema corte, occorre tenere conto di una pluralità di indici, tra cui «la difficoltà di programmazione di altre attività, l'esistenza e la durata di un termine di preavviso, la percentuale delle prestazioni a comando rispetto all'intera prestazione, l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa».

D'altro canto, il datore di lavoro inadempiente potrà sempre provare l'assenza di pregiudizio nel caso concreto, con prova liberatoria a suo carico. Per esempio, dimostrando la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione.

Questo principio, sebbene espresso con riferimento ad una disciplina anteriore a quella del Dlgs 81/2015 - che ha ampliato i margini di flessibilità per l'inserimento di clausole elastiche all'interno dei contratti di lavoro part-time - potrà trovare applicazione, a maggior ragione, anche con riferimento ai contratti di più recente stipulazione.

Invero, è la stessa normativa a prevedere che lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, modalità e limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporti il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno. Il pregiudizio per il lavoratore è dunque, anche per il legislatore, in re ipsa.

Quanto, invece, alla liquidazione dell'indennità risarcitoria, quest'ultima non potrà che avvenire in via equitativa, tenendo conto, da un lato, della maggiorazione del 15% della retribuzione prevista in caso di modifiche (legittime) della collocazione oraria della prestazione; dall'altro, degli indici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e richiamati, da ultimo, dalla sentenza in commento. Su questo punto, con tutta evidenza, si giocherà la vera partita probatoria in sede processuale.

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