Contenzioso

Licenziabile il dipendente in malattia che si dedichi ad altra attività

di Alberto De Luca e Valentino Biasi

La Corte di cassazione, con sentenza 6047 del 13 marzo 2018, è tornata a occuparsi del licenziamento del dipendente in malattia che presti attività lavorativa a favore di terzi. In particolare, il lavoratore in questione, assente in malattia per dolori lombari, si era esibito in pubblico svolgendo attività di concertista (ovverosia suonando in piedi la fisarmonica).

In tale contesto, il datore di lavoro aveva contestato la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, nonché quelli di diligenza e fedeltà, avendo il dipendente con la propria condotta rischiato di compromettere, aggravare e/o ritardare la guarigione e, conseguentemente, la ripresa dell'attività lavorativa. Il licenziamento era stato ritenuto legittimo dal giudice di primo grado, ma poi annullato dalla Corte d'appello di Genova, la quale aveva disposto pertanto la reintegrazione del lavoratore.

Investita della questione su ricorso del datore di lavoro, la Suprema corte ha statuito, in linea con il proprio orientamento consolidato al riguardo, che lo svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia rappresenta idoneo motivo di licenziamento non di per sé, ma allorquando sia sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, oppure quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro del lavoratore in servizio (ex plurimis, Cassazione 17625/2014, 24812/2016, 21667/2017).

Nel proprio percorso argomentativo, la Cassazione si è inoltre soffermata sul principio per il quale, per giustificare il licenziamento, non debba derivare concretamente un ritardato rientro del lavoratore in servizio, ma quando più semplicemente la condotta del lavoratore possa astrattamente pregiudicarlo.

Ad avviso della Suprema corte, il giudice di appello, pur avendo correttamente richiamato i suddetti principi di diritto, aveva tralasciato – in violazione dell'onere probatorio che grava sul lavoratore - il giudizio di verifica della conformità ai canoni di correttezza e buona fede della condotta del dipendente, da effettuarsi ex ante e non ex post, che gli avrebbe imposto di adottare ogni cautela idonea a consentirgli il pronto recupero e, in particolare, l'osservanza del riposo prescritto dal medico.

La pronuncia in esame, così statuendo, conferma il (seppur graduale) progresso dell'interpretazione giurisprudenziale verso una più rigorosa applicazione dei canoni contrattuali al comportamento complessivamente tenuto dal lavoratore e all'importanza che egli compia tutto quanto in proprio possesso per porre le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro in osservanza degli obblighi contrattuali assunti.

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