Contenzioso

Le decisioni della giurisprudenza

di Marisa Marraffino

Ecco le pronunce più recenti dei giudici chiamati a valutare la legittimità dei licenziamenti motivati dall’uso “disinvolto” dei social network da parte dei dipendenti.

QUANDO IL LICENZIAMENTO È LEGITTIMO

Bastano i tweet
Quando i tweet trascendono la mera e legittima critica e rendono esplicito un atteggiamento di disprezzo verso l’azienda, i suoi amministratori, rappresentanti e potenziali partner commerciali legittimano il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Tali comportamenti costituiscono, infatti, un uso improprio del social twitter per i contenuti offensivi e denigratori delle espressioni usate.
Tribunale di Busto Arsizio, sentenza 62 del 19 febbraio 2018

Ingiurie al datore di lavoro
I doveri di fedeltà, correttezza e buona fede incombono sul lavoratore, anche nei comportamenti extralavorativi. Scrivere su Facebook epiteti ingiuriosi nei confronti dell’amministratore unico, datore di lavoro, menzionato con nome e cognome, rappresenta giusta causa di licenziamento perché idonea a giustificare la definitiva perdita di fiducia da parte della società datrice sulla corretta esecuzione del lavoro per il futuro.
Tribunale di Napoli, sentenza 8761 del 15 dicembre 2017

Diffamazione dei colleghi
Può essere licenziato per giusta causa il dipendente che pubblica su Facebook ripetute frasi diffamatorie nei confronti dell’azienda e dei colleghi, definiti «lecchini» e «burattini» nelle mani dell’azienda e del sindacato che li girano come «robottini»; ancora, il dipendente scrive che i colleghi (definiti con un appellativo particolarmente offensivo) cadono ai piedi del datore di lavoro come pecore.
Tribunale di Milano, decreto 27552 del 29 luglio 2013

QUANDO IL GIUDICE BOCCIA IL LICENZIAMENTO

La contestazione
La condotta del lavoratore che, commentando la recensione di un cliente, per pavoneggiarsi mette in cattiva luce un suo collega e trascina l’azienda per cui lavora in una serie di commenti di altri utenti poco rispettosi deve essere contestata subito in maniera precisa e dettagliata. Altrimenti non può rappresentare giusta causa di licenziamento.
Tribunale di Larino, ordinanza 1282 del 4 agosto 2016

Critica «generica»
È illegittimo licenziare (e occorre reintegrare) chi scrive su Facebook (a commento di un articolo di giornale che dà la notizia che l’azienda del dipendente fa lavorare i dipendenti anche la domenica): «È un’offesa ai lavoratori che lavorano la domenica! Tanto meritate solo disprezzo egregi padroni ci costringete a lavorare di domenica con dei discorsi che sanno di ricatto. Anzi li costringete!». Il post infatti non assume contorni direttamente lesivi della società datrice di lavoro perché la critica non è a essa espressamente indirizzata, ma si rivolge genericamente alla categoria dei «padroni».
Tribunale di Parma, sentenza 27 del 9 febbraio 2018

Condotta «leggera»
L’allieva dell’Aeronautica militare ritratta su Facebook mentre mima una sfilata con la borsetta appoggiata al braccio, dicendo «è così che si lavora», oltre ad altre affermazioni non proprio garbate, non doveva essere licenziata: la sanzione appare sproporzionata all’addebito. Infatti la condotta è sintomo di un atteggiamento poco serio della lavoratrice, essendosi trattato di un momento di “leggerezza” che però è privo di concreta lesività per il datore di lavoro e non tale da procurare all’azienda grave nocumento morale o materiale.
Tribunale della Spezia, sentenza 185 del 26 maggio 2017

Il sindacalista
Le espressioni scritte su Facebook dal dipendente sindacalista non possono essere valutate come se le avesse profferite un qualsiasi altro dipendente, essendo riconosciuto al lavoratore sindacalista un diritto di critica diverso e superiore rispetto a quello degli altri colleghi di lavoro. Quanto alla parola «bastardi», essa esprime certamente disistima ma non definirsi diffamatoria, in quanto non è di per sé ingiuriosa.
Tribunale di Milano, sentenza 3153 del 28 novembre 2017

L’alternativa della sanzione conservativa
Offendere gravemente il direttore generale dell’azienda non può portare al licenziamento nei casi in cui vi sia una precisa normazione collettiva che prevede sanzioni di tipo conservativo. La legge Fornero (articolo 18, comma 4, Statuto dei lavoratori) esclude il licenziamento nelle ipotesi in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto ovvero (come in questo caso) perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari.
Corte d’appello di Roma, sentenza 914 del 7 febbraio 2017

La prova testimoniale
L’indebito utilizzo del cellulare personale o del computer aziendale con continui accessi su Facebook nonché su altri siti da parte della dipendente deve essere documentato dal datore di lavoro - anche per il tramite di testimoni - non bastando un’unica dichiarazione testimoniale che confermi di aver assistito a un richiamo della lavoratrice per essere stata colta nell’atto di utilizzare il cellulare piuttosto che servire la clientela.
Corte d’appello di Bari, sentenza 436 del 6 febbraio 2017

Le password aziendali
La dipendente che si iscrive a diversi social network utilizzando il pc e la password aziendali non può essere licenziata solo per tale motivo.
Tribunale di Brescia, sentenza 1195 del 6 ottobre 2016

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