Contenzioso

Per la pensione di anzianità in cumulo, il part time vale solo se con reddito non inferiore al minimo

di Silvano Imbriaci

In base all’articolo 72 della legge 388/2000, in materia di cumulo tra pensione e reddito da lavoro, «a decorrere dal 1° gennaio 2001 le pensioni di vecchiaia e le pensioni liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, anche se liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente».

L'artucolo 44 della legge 27 dicembre 2002, numero 289, ha previsto l'estensione, a decorrere dal 1° gennaio 2003, del regime di totale cumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, previsto dall'articolo 72, ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni a condizione che il lavoratore abbia compiuto 58 anni di età (requisiti in possesso all'atto del pensionamento).

La questione affrontata dalla sentenza della Cassazione sezione lavoro del 12 marzo 2018, numero 5961, riguarda le modalità di calcolo dell'anzianità contributiva richiesta per l'accesso alla totale cumulabilità, in relazione a due aspetti: il calcolo della contribuzione figurativa per disoccupazione involontaria e le modalità di conteggio delle settimane contributi nel caso di lavoro part-time.

Con riferimento al primo aspetto, la questione si pone in quanto il testo della norma (l'articolo 44) non fa alcun tipo di riferimento alla natura della contribuzione da calcolare ai fini dell'anzianità contributiva, lasciando dunque intuire che si debba considerare qualsiasi tipo di contribuzione concorra a perfezionare l'anzianità contributiva. La sezione lavoro è, tuttavia, di contrario avviso.

La contribuzione figurativa fornisce una sorta di copertura fittizia per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell'attività lavorativa, in assenza dunque di versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro, o del lavoratore, restando totalmente a carico della gestione previdenziale. La legge individua tassativamente le ipotesi nelle quali i contributi figurativi possono essere accreditati d'ufficio (per i periodi durante i quali i lavoratore fruisce della indennità di mobilità, di cassa integrazione, di disoccupazione, per i periodi di godimento delle prestazioni di invalidità quali assegno ordinario di invalidità e pensione seppur a determinate condizioni), o su domanda del lavoratore, senza alcun costo per l'assicurato.

L'accredito di questi eventi è, pertanto, obbligatorio in quanto discende da una specifica disposizione di legge. In qualche altro caso la contribuzione figurativa può essere accreditata a domanda (servizio militare, congedo per maternità, ecc..). I contributi figurativi, a eccezione del servizio militare ed altri specificamente previsti, non sono utili ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità: deve infatti esserci corrispondenza tra posizione assicurativa e svolgimento della prestazione lavorativa, per cui non è possibile un incremento della prima, ancorchè già costituita, quando manchi la prestazione lavorativa (Cassazione 4 aprile 2001, numero 5027; Cassazione 17 novembre 1997, numero 11411).

Per tale motivo, l'articolo 44 deve essere inteso nel senso che i contributi utili da conteggiare allo scopo siano costituiti dalla sola contribuzione effettiva, dal momento che la pensione di anzianità cui si riferisce l'articolo 44 non può che essere individuata in quella costituita dalla sola contribuzione effettiva (si veda l’articolo 13 della legge 903/1965 – norma oggi abrogata per effetto dell'articolo 41 del Dpr 488/1968: gli iscritti alle assicurazioni obbligatorie… hanno diritto alla pensione a qualunque età, purché possano far valere 35 anni di effettiva contribuzione). La contribuzione figurativa deve quindi essere esclusa, in quanto è elemento utile solo ai fini della misura della pensione, salvo specifiche e determinate indicazioni di legge (non basta quindi la semplice menzione generica di anzianità contributiva).

Quanto invece alla questione del part-time, la stessa scaturisce dal contenuto dell'articolo 9 del Dpr 61/2000 che al comma 4 prevede, nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione, il computo per intero dell'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all'orario effettivamente svolto dell'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale (anche questa norma è stata successivamente abrogata dall'articolo 55, comma 1, lettera a, del Dlgs 15 giugno 2015, numero 81).

Secondo l'interpretazione degli interessati, il meccanismo del riproporzionamento della contribuzione versata per il periodo di lavoro part-time opererebbe solo ai fini dell'ammontare del trattamento di pensione e della misura di questa, mentre ai fini del diritto il periodo di lavoro part-time per il quale è stata versata la contribuzione deve essere computato per intero.

Anche in questo caso, tuttavia, la Corte è di diverso avviso. La nozione di anzianità assicurativa alla base del beneficio del cumulo tra redditi e pensione è la stessa che determina l'accesso al diritto alla pensione di anzianità. La copertura piena del lavoro part-time è possibile solo in presenza di un livello minimo di retribuzione, al di sotto del quale è consentito l'accredito contributivo di un numero di settimane proporzionalmente ridotto anche ai fini dell'anzianità contributiva e non solo ai fini del trattamento (secondo un fenomeno di vera e propria contrazione del monte contributivo).

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