Contenzioso

Licenziamento disciplinare valido anche ad anni di distanza dai fatti

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli

E' legittimo il licenziamento disciplinare irrogato al lavoratore per ripetute condotte integranti il delitto di peculato poste in essere in periodi risalenti rispetto all'avvio del procedimento disciplinare, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richiede uno spazio temporale maggiore, o se la complessità della struttura organizzativa dell'impresa può far ritardare il provvedimento di recesso.

Con la sentenza 4881/2018 la Corte di cassazione torna sul tema della tempestività della contestazione disciplinare e sul principio di autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, e mentre conferma come “l'immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro”, precisa altresì che il requisito della immediatezza “deve essere inteso in senso relativo, potendo - in concreto - essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo a seconda dello spazio temporale richiesto per l'accertamento e la valutazione dei fatti addebitati”.

Nel caso di specifico un dipendente addetto al servizio di biglietteria è stato licenziato per giusta causa in data il 21 ottobre 2010, previa contestazione degli addebiti comunicata il 30 settembre dello stesso anno, per fatti integranti il delitto di peculato posti in essere tra il giugno 2007 e l'aprile 2010.

La Corte di appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha escluso che la formulazione degli addebiti dovesse ritenersi tardiva, malgrado l'azienda avesse avviato i primi accertamenti interni già nel giugno del 2007, e ciò in considerazione delle più ampie indagini di polizia giudiziaria in corso all'epoca dei fatti, e della sospensione, concordata con la Polizia ferroviaria, di eventuali iniziative aziendali che ne potessero pregiudicare l'esito.
Investita della questione, la Corte di cassazione ha confermato la decisione, e ha statuito come, considerata la peculiarità della fattispecie, la decisione dovesse considerarsi esente da censura pur essendosi discostata dall'orientamento ormai formatosi in tema di autonomia del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale, e di conseguente obbligo di immediata contestazione da parte del datore di lavoro (Cassazione 7410/2010 e 4724/2014).

Secondo la Corte di cassazione, infatti, nel bilanciamento dei contrapposti interessi del datore di lavoro e del lavoratore, occorre considerare:
• la necessità del datore di lavoro di sospendere i propri accertamenti interni per non compromettere l'esito delle contemporanee indagini in sede penale;
• l'ampiezza della vicenda, tale da trascendere le sorti del singolo rapporto di lavoro e da interessare il corretto funzionamento del servizio di vendita dei titoli di viaggio;
• la particolare complessità dei fatti, la cui ricostruzione aveva richiesto la verifica incrociata di dati di non immediata percezione nonché il controllo, attraverso il lavoro di due apposite commissioni e il vaglio di vari settori competenti, di un'ampia documentazione;
• l'assenza di pregiudizio per il diritto di difesa del lavoratore incolpato, trattandosi di addebiti di fonte documentale nel tempo sempre verificabili;
• l'impossibilità di rilevare, per mezzo di ordinari controlli, le irregolarità oggetto di contestazione.

La molteplicità degli addebiti e la complessità dell'attività richiesta per il loro riscontro, quindi, nonché l'adempimento del generale dovere di cooperazione nei confronti degli organi dello Stato deputati alla scoperta e alla repressione dei reati, realizzano un interesse meritevole di apprezzamento secondo l'ordinamento giuridico, non in conflitto con la pienezza di esercizio del diritto di difesa del lavoratore incolpato, e legittimano la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione delle indagini penali.

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