Contenzioso

Divieto di restituzione dei contributi versati alla Cassa di previdenza forense

di Silvano Imbriaci

Con due sentenze ravvicinate la Sezione Lavoro della Cassazione, occupandosi della questione della restituibilità dei contributi versati alla Cassa di Previdenza Forense, affronta, con qualche spunto interessante, il tema dell'efficacia del Regolamento interno della Cassa, e dell'autonomia delle singole gestioni di categoria, nell'ambito delle regole generali sulla gerarchia delle fonti.

In entrambe le controversie, gli istanti chiedono la restituzione di contribuzione versata alla Cassa: nel caso della sentenza n. 4980/2018 gli eredi chiedono accertarsi il diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati dal loro dante causa nei venticinque anni di iscrizione; nel caso della sentenza n. 5287/2018, è un avvocato, direttamente, a chiedere la restituzione della contribuzione di solidarietà versata nel corso di un decennio.

Il punto centrale della questione riguarda comunque in entrambi i casi l'efficacia del Regolamento interno della Cassa (nella sentenza n. 4980 sono citate le delibere approvate con dd.mm. 24 giugno 2004 e 16 maggio 2005), nelle norme che espressamente prevedono il divieto di restituzione della contribuzione versata, a fronte del contenuto dell'art. 21 della legge n. 576/1980 – di Riforma del Sistema Previdenziale Forense - che prevede invece il diritto alla restituzione dei contributi a favore di coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto a pensione (con maggiorazione di interessi legali e diritto azionabile anche da parte degli eredi).

A fronte della lamentata applicazione della norma regolamentare invece che di quella di legge, alla base della reiezione della domanda di restituzione, la Cassazione risolve la questione circa l'apparente violazione del principio della gerarchia delle fonti attraverso l'esame di quelle disposizioni (in particolare l'art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 509/1994 e l'art. 3, comma 12 della legge n. 335/1995) rafforzative dell'autonomia delle Casse e Gestioni di Categoria, soggetti cui è affidata la gestione di un'attività istituzionale di previdenza ed assistenza, con obblighi contributivi connessi, e con ampia discrezionalità nelle scelte normative finalizzate alla salvaguardia degli equilibri finanziari di lungo termine. Si è realizzata quindi, in questo settore, un'ampia opera di delegificazione attraverso cui è stata attribuita alla Cassa la possibilità di regolamentare in modo autonomo le modalità di erogazione e di accesso alle prestazioni, anche in deroga alla normativa precedente. Tale operazione è perfettamente legittima anche sotto il profilo costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 254/2016 – ord.), in quanto il vaglio di costituzionalità è incentrato o sulla norma che autorizza la delegificazione, o sulle singole norme regolamentari con il meccanismo del controllo diffuso, nell'ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi quando emergano visi propri ed esclusivi del regolamento stesso.

La norma regolamentare che ha imposto il divieto di restituzione dei contributi versati ha dunque inteso recepire anche a livello di previdenza forense un principio ormai acquisito nel sistema generale della previdenza pubblica, e con ciò ha implicitamente abrogato la normativa precedente incompatibile.

In assenza di una riserva assoluta di legge e in considerazione del fatto che le finalità della legge di delegificazione sono state tutte rispettate, è perfettamente legittima e applicabile la regolamentazione della Cassa in punto di modulazione degli obblighi contributivi e (divieto di) restituzione dei contributi. Quanto poi al profilo della legittimità della restituzione, invocata dai ricorrenti, a fronte della mancata utilizzazione della contribuzione versata dal professionista, la Corte ribadisce che le ipotesi che regolano in qualche caso la possibilità di restituzione dei contributi a favore di professionisti, in realtà non fanno venir meno il principio che sta alla base del divieto di restituzione della contribuzione, ossia il principio solidaristico, comunque vigente anche nella previdenza dei liberi professionisti, in funzione della garanzia dell'accesso al trattamento pensionistico minimo estesa a tutti i membri di una determinata categoria.

Le sporadiche ipotesi di restituzione dei contributi rappresentano dunque solo una particolare configurazione dei doveri di solidarietà, e quindi non costituiscono deroga al principio medesimo. Sulla stessa falsariga si muove anche la pronuncia n. 5287/2018, che ribadisce il principio dell'autonomia regolamentare delle Casse anche in deroga a disposizioni di legge precedenti (cfr. Cass. n. 24202/2009), sul versante questa volta della normativa regolamentare che, recependo un principio contenuto già nell'art. 10 comma 1 lett. b della legge n. 576/1980 (norma di cui si invoca la illegittimità costituzionale), non prevede un tetto massimo alla contribuzione erogata per finalità solidaristica.

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