Contenzioso

L’email senza firma digitale non è una prova

di Angelo Zambelli

Con la sentenza 5523/2018 depositata ieri, la Corte di cassazione è intervenuta sul tema del valore probatorio dell'email “tradizionale”, ossia quella che – a differenza del messaggio sottoscritto con firma avanzata, qualificata o digitale – risulta priva di specifiche caratteristiche di sicurezza.

Un dirigente è stato licenziato per una condotta irregolare in merito all'applicazione di una procedura di “rivalutazioni di magazzino” che, secondo quanto sostenuto dalla società datrice di lavoro, ha determinato l'accredito di somme non dovute in favore di alcune società commerciali partner.

Il tribunale di Roma ha ritenuto legittimo il licenziamento. La Corte d'appello capitolina ha ribaltato tale decisione ritenendo illegittimo il recesso in ragione dell'assenza di «riscontri certi» che dimostrassero il diretto coinvolgimento del lavoratore nella procedura irregolare di rivalutazione.

Secondo la Corte «la prospettazione di parte datoriale era fondata su messaggi di posta elettronica di dubbia valenza probatoria nonché su dichiarazioni provenienti da soggetti direttamente coinvolti nella vicenda e quindi inattendibili perché interessati ad un certo esito della lite». In particolare, la Corte territoriale ha escluso che le email fossero «riferibili al suo autore apparente», non trattandosi di corrispondenza elettronica certificata o sottoscritta con firma digitale in grado di garantire l'identificabilità dell'autore e la sua integrità e immodificabilità.

La Suprema corte, pur ritenendo inammissibile il motivo di ricorso formulato dall'azienda in ordine all'autenticità delle email prodotte in giudizio, ha sottolineato in ogni caso come alle email “tradizionali2 non possano essere riconosciuti la natura e il valore probatorio della scrittura privata. Infatti, ricorda la Cassazione, l'articolo 21 del Dlgs 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale), nelle diverse formulazioni ratione temporis vigenti, attribuisce l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile (ossia l'efficacia della scrittura privata) solo ed esclusivamente «al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, mentre è liberamente valutabile dal Giudice, ai sensi dell'articolo 20 del Dlgs 82/2005, l'idoneità di ogni diverso documento informatico (come l'email tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità».

Si tratta, invero, di un tema già affrontato dalle Corti di merito che, a più riprese, hanno sottolineato come il messaggio di posta elettronica non certificato e privo di firma digitale non possa fornire alcuna certezza sulla provenienza o sull'identità dell'apparente sottoscrittore, essendo sufficiente «intervenire sul programma di posta elettronica perché chi riceve il messaggio lo veda come se fosse inviato da diverso indirizzo» (tribunale di Roma, ordinanza del 20 dicembre 2013; tribunale di Brescia, sentenza 348/2008).

La sentenza 5523

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