Contenzioso

Malattie professionali, copertura Inail anche per quelle non «tabellate»

di Mauro Pizzin

Sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle Inail sui rischi assicurati, di cui il lavoratore dimostri l’origine professionale. È sulla base di quanto messo nero su bianco dall’articolo 10, comma 4, della legge 38/2000 che la Corte di cassazione, con l’ordinanza 5066/18, depositata ieri, ha riconosciuto le ragioni della dipendente di un’azienda nell’ambito di una causa da essa avviata nei confronti dell’istituto assicurativo per ottenere il pagamento di una rendita per invalidità permanente in relazione ad una malattia professionale contratta per lo stress lavorativo dovuto a un elevato numero di ore straordinarie e consistente in un grave disturbo dell’adattamento, con ansia e depressione.

La lavoratrice si era vista respingere la sua richiesta tanto in primo, quanto in secondo grado: nel 2012 la Corte d’appello, in particolare, pur confermando l’esistenza, la natura e le cause della malattia professionale denunciate, aveva sostenuto che tuttavia la malattia non sarebbe stata indennizzabile dall’Inail perché non rientrava nell’ambito del rischio assicurato dall’articolo 3 del Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (Dlgs 1124/1965), che riguardava solo le malattie professionali, tabellate o non tabellate, contratte a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella. Secondo il giudice di secondo grado, la malattia su cui si discuteva era correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale che non sono considerate rischio assicurato dal Testo unico e che non risultano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell’assicurazione obbligatoria.

Nel sostenere le ragioni della lavoratrice ricorrente, i giudici di legittimità hanno sottolineato che la decisione impugnata non è in linea con l’ordinamento vigente e con la costante evoluzione impressa dalla Cassazione al concetto di rischio tutelato richiamato per le malattie professionali dall’articolo 3 del Dlgs 1124/1965. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale – evidenziano infatti i giudici – a rilevare non è solo il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il cosiddetto rischio specifico improprio «non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa»: un principio, questo, applicabile anche quando si parla di malattie professionali. In questo contesto, per la Cassazione nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale inteso come rischio specificatamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge. Un’interpretazione, quest’ultima, confermata dall’articolo 10, comma 4, della legge 38/2000.

In definitiva, quindi, secondo la Corte «ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’Inail, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata».

L’ordinanza n. 5066/18 della Corte di cassazione

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