Contenzioso

Attività autonoma vietata al dipendente del fisco

di Serena Fantinelli e Uberto Percivalle

È sempre licenziabile il dipendente dell'Agenzia fiscale che svolga altra attività, anche se ha un contratto part-time e anche se la seconda attività non è astrattamente incompatibile con le finalità istituzionali dell'Agenzia. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 3622/2018, statuendo che la delicatezza dei compiti assegnati all'amministrazione fiscale giustifica una disciplina in tema di incompatibilità e conflitto di interesse più rigorosa di quella prevista per altri dipendenti pubblici con contratto part-time, ai quali è invece consentito lo svolgimento di un'altra attività, purché non si ponga in concreto conflitto di interessi e sia preventivamente comunicata.

Nel caso specifico un dipendente dell'agenzia del Territorio, legato all'amministrazione da un rapporto di lavoro part-time, è stato licenziato per giusta causa dovuta allo svolgimento di una collaterale attività di geometra, in spregio delle ripetute richieste da parte del datore di lavoro di cessarne lo svolgimento.

Già i giudici di appello, nel confermare la legittimità del licenziamento, avevano rilevato come l'articolo 4 del Dpr 18/2002 prevedesse l'inderogabile divieto per il personale delle agenzie fiscali di svolgere attività proprie di avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, ingegneri, architetti, geometri e altre figure professionali, il cui esercizio appare incompatibile con la corretta e imparziale esecuzione dell'attività affidata all'Agenzia di appartenenza.

La Corte di cassazione, investita della questione, ha confermato la decisione doppia conforme, chiarendo che, sebbene la norma non preveda il divieto esplicito di svolgere altra attività per i dipendenti part-time, nondimeno tale divieto deve intendersi connaturato alla specialità della disciplina, giustificata dalla necessità che venga salvaguardata l'immagine e la credibilità dell'Agenzia fiscale, anche impedendo ai dipendenti di svolgere attività idonee a configurare possibili conflitti di interesse.

Peraltro la Cassazione ha sottolineato come il provvedimento risultasse vieppiù proporzionato perché l'amministrazione, prima di procedere al licenziamento, aveva più volte e inutilmente intimato al proprio dipendente di interrompere l'attività libero professionale, senza che questi però ottemperasse a tale invito.

La Cassazione, in sostanza, ha ribadito come l'applicazione dei principi generali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione sia particolarmente stringente nel caso di dipendenti dell'amministrazione fiscale, perché essi rappresentano lo Stato nell'esercizio di una delle sue funzioni più autoritative, quale quella del prelievo fiscale.

A nulla è valso al dipendente invocare il rinvio alla Corte di giustizia dell'Unione europea: la Cassazione, infatti, ha ribadito come i dipendenti che partecipano all'esercizio di pubblici poteri, e per cui esista un particolare rapporto con lo Stato, non siano considerati destinatari di tutte le norme di diritto dell'Unione. Né la Corte ha ritenuto ammissibile un dubbio di costituzionalità sollevato dal ricorrente.

Netto l'insegnamento dei tre gradi di giudizio: onde prevenire conflitti di interesse, nessun cumulo di impiego è ammissibile per i dipendenti delle amministrazioni fiscali. Un rigore (sottolineato anche dalla condanna alle spese) che contrasta con i tempi amministrativi lunghi nell'esigere il rispetto della legge (tre anni dal primo invito al licenziamento).

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