Contenzioso

Legittimo il contratto a chiamata che scade a 25 anni di età

di Massimilano Biolchini e Edoardo Maria Ceracchi

Se “il fine giustifica i mezzi” allora quando si tratta di favorire l'ingresso dei più giovani sul mercato del lavoro, anche forme contrattuali flessibili e temporanee devono ritenersi preferibili alla disoccupazione. Così si è espressa la Corte di cassazione, con la sentenza 4223/2018 depositata ieri dopo un iter giudiziario lungo e complesso, iniziato nel 2012 al tribunale di Milano e proseguito in Corte di appello e Cassazione fino a giungere alla Corte di giustizia Ue.

Quest'ultima, con la decisione del caso C-143/16, si è schierata a supporto della legittimità della normativa italiana in materia di contratto di lavoro intermittente, che consente di assumere un lavoratore under 25 e licenziarlo al compimento del suo 25° anno di età (ossia a fronte del solo raggiungimento di tale limite anagrafico, senza ulteriore motivazione a supporto).

Tale vicenda (si veda, da ultimo, l'articolo su il Sole 24 Ore del 20 luglio 2017) prende le mosse dal potenziale contrasto (rilevato originariamente dalla Corte di appello di Milano nel 2014) tra il divieto di discriminazione in base all'età, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali Ue e dalla direttiva 2000/78 Ce, e la normativa in materia di contratto a chiamata, la cui ratio è evidentemente quella di flessibilizzare le tipologie contrattuali dedicate ai giovani, onde facilitarne l'accesso a una prima occupazione e favorire un successivo inserimento stabile nel mondo del lavoro .

Il caso specifico riguardava un dipendente di una nota multinazionale di moda il quale aveva impugnato il licenziamento intimatogli per aver egli raggiunto il limite di età entro il quale l'utilizzo del contratto di lavoro intermittente era consentito.

La Suprema corte ha ritenuto di aderire a quanto già sancito dai giudici europei, e cioè che la disciplina del contratto di lavoro intermittente, nel consentire il licenziamento al sopraggiungere del limite di età, è compatibile con il divieto di discriminazione per ragioni anagrafiche, in quanto persegue, in modo proporzionato e adeguato, la necessità di fronteggiare una perdurante situazione di diffusa disoccupazione giovanile.
In altre parole, il ricorso a tipologie contrattuali più flessibili e meno onerose sia in entrata che, soprattutto, in uscita è ammissibile allorquando tale misura risponda alla necessità di supportare una categoria di lavoratori più esposta delle altre al rischio di esclusione sociale.

In particolare, nel caso esaminato è stato ritenuto ragionevole e compatibile con il divieto di discriminazione per età il “sacrificio” imposto ai lavoratori più giovani mediante l'assunzione “a chiamata” (rispetto a quella ordinaria, a tempo determinato o indeterminato), in quanto coerente alla finalità perseguita da politiche sociali e dell'occupazione dirette, in definitiva, a tutelare tale fascia di popolazione.

La Cassazione, espandendo i principi esposti dalla Corte di giustizia, sviluppa inoltre il proprio ragionamento con riferimento all'articolo 3 della Costituzione, in quanto anche il principio di parità di trattamento ivi sancito ammette deroghe giustificate da finalità sociali. Non vi sono pertanto, secondo la Suprema corte, ragioni che inducano a sollevare questioni di legittimità costituzionale con riguardo al principio di eguaglianza.

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