Contenzioso

Investigatori privati e iscrizione alla gestione commercianti

di Silvano Imbriaci

L'attività di investigatore privato, per la sua natura anche intellettuale, si presta, sotto il profilo previdenziale, a più di un dubbio in ordine alla gestione nella quale versare la contribuzione obbligatoria.

La componente “professionale” dell'attività infatti sembra sfuggire ad un inquadramento in una delle categorie previste per definire la nozione di impresa, così come di difficile sistemazione risulta il tipo di obbligazione che l'investigatore assume nei confronti del cliente, tipicamente di mezzi e non di risultato.

La sentenza della sezione Lavoro n. 669/2018 affronta questi temi, verificando prima di tutto se l'attività investigativa possa definirsi come attività professionale e non imprenditoriale. Sul punto constano due isolati precedenti della Suprema Corte, uno del 2008 (n. 21137) e l'altro, più recente, del 2014 (n. 3228), che anche in questa occasione la Cassazione ritiene comunque di poter confermare.

L'attività di investigatore privato, dal momento che è finalizzata alla produzione di un servizio di acquisizione dati e di elaborazione degli stessi, deve essere inquadrata a fini previdenziali, nel settore del commercio, con conseguente obbligo, per chi esercita questa attività, di iscriversi non alla gestione separata ma nella gestione assicurativa degli esercenti le attività commerciali. Da un punto di vista normativo, infatti, le professioni intellettuali di cui si occupa la l. n. 335/1995 non sono assimilabili all'attività di investigatore privato (sono iscrivibili alla gestione separata i percettori di redditi derivanti dall'esercizio abituale e professionale di un'attività di lavoro autonomo per la quale non è prevista una forma assicurativa pensionistica: in pratica i professionisti senza Albo e Cassa di previdenza oppure iscritti in Albi privi di propria Cassa di previdenza oppure ancora facenti parte di Albi con Cassa di previdenza ma non iscritti alla medesima), mentre l'art. 49, lett. d) della l. n. 48/1989, nell'includere nel settore terziario le attività lavorative commerciali, comprende sicuramente le attività che si concretizzano in una prestazione di servizi. Rispetto ai criteri classificatori delle imprese previsti dall'art. 49 cit. , l'area del terziario (che possiamo definire, in generale, come la “produzione di servizi”) ha assunto sempre maggiore rilevanza rispetto alle ristrette e tipiche categorie dell'industria, dell'artigianato e dell'agricoltura, lasciando da parte il settore del credito e quello dell'assicurazione e tributi. Rientrano quindi in questo settore, anche in via residuale, le attività commerciali, comprese quelle turistiche, le attività di produzione, intermediazione e prestazione di servizi anche finanziari, e le attività professionali ed artistiche (comprese quelle ausiliari).

Diventa dunque più facile, secondo questa ricostruzione, avvicinare l'attività di investigazione privata a questa categoria piuttosto che a quella ben più ristretta e definita di coloro che svolgono attività libero professionale e che sono iscrivibili alla gestione separata.

L'attività di investigazione privata non è equiparabile ad una attività intellettuale libero-professionale (che presuppone l'iscrizione in albi o elenchi). Vi è una sostanziale differenza tra coloro che svolgono attività professionale attraverso l'iscrizione in albi ed elenchi (secondo quanto disposto dall'art. 2229 c.c.) e chi svolge il “servizio” di investigazione privata”, rivolto a favore di coloro che hanno necessità di acquisire notizie e conoscenze, e che prevede apposita licenza e iscrizione nel registro delle imprese. Solo per il fatto che l'attività si caratterizza come prestazione di un servizio, la stessa, secondo la classificazione sopra vista, non è più ascrivibile al settore industria, dove invece in passato erano tranquillamente inquadrate attività similari (basti pensare alla organizzazione o alla consulenza aziendale, o agli istituti di vigilanza, solo per citare due esempi). Anzi, secondo la Cassazione, l'idea che ha mosso il legislatore è stata quella di equiparare ed assimilare le attività commerciali e di prestazione di servizi alle attività professionali ed artistiche, senza però mai invadere il campo dall'attività dei professionisti in senso stretto (come nel caso dell'esercizio della professione forense o di dottore commercialista), soggetti che hanno una loro distinta e precisa tutela offerta dall'iscrizione al proprio albo e alla propria cassa previdenziale. Ed è stata proprio la volontà di recuperare ad una gestione previdenziale l'attività dei liberi professionisti globalmente intesa che la norma istitutiva della gestione separata ha voluto inserirvi coloro che svolgevano attività squisitamente professionale ma che erano sprovvisti di Cassa Previdenziale. Secondo la Corte, dunque, occorre tener ben presente la distinzione tra attività di produzione di servizi, per la quale possono subentrare anche profili di attività di tipo professionale, e la ristretta categoria dei professionisti (con o senza cassa) per i quali l'apporto intellettuale costituisce elemento tipico dell'attività per la quale ottengono abilitazioni, iscrizione negli albi e alla cassa previdenziale di appartenenza (o alla gestione separata INPS in via residuale).

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