Contenzioso

Solo indennità se viene meno il motivo del licenziamento

di Angelo Zambelli

Con la sentenza 331/2018, pubblicata ieri, la Cassazione interviene sulle conseguenze sanzionatorie in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ritenuto illegittimo, offrendo spunti utili a orientarsi tra le diverse ipotesi sanzionatorie introdotte dalla riforma Fornero (legge 92/2012).

All’origine della vicenda vi è il licenziamento intimato a un dipendente al verificarsi di un fatto oggettivo «che non aveva reso possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro», fatto consistente in una modificazione dell’organizzazione dell’impresa a seguito di un’interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’azienda stessa.

Dato che l’interdittiva in questione è stata dichiarata poi illegittima dal giudice amministrativo, la Corte d’appello ha ritenuto illegittimo il licenziamento. Ritenendo inoltre «che non potesse qualificarsi la fattispecie come priva in modo manifesto dei fatti astrattamente idonei a cagionare il licenziamento», la Corte territoriale ha accordato al lavoratore la tutela risarcitoria prevista dal sesto comma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per il caso di licenziamento «dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione» (ossia la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità tra sei e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).

Tale soluzione non ha però incontrato il favore della Cassazione, secondo cui la legge 92/2012, graduando le tutele in caso di licenziamento illegittimo, ha previsto al quarto comma del nuovo articolo 18 una tutela reintegratoria cosiddetta “attenuata” in base alla quale il giudice annulla il licenziamento, condanna il datore alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di una indennità risarcitoria in misura comunque non superiore a 12 mensilità; e al quinto comma una tutela meramente indennitaria, in base a cui il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro e condanna il datore a pagare un’indennità tra 12 e 24 mensilità di retribuzione.

La linea di confine tra le due tutele - osserva la Cassazione - «in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo è disegnata dal settimo comma dell’articolo 18», secondo cui il giudice può applicare la disciplina del quarto comma nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; e applica invece la disciplina del quinto comma nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto motivo.

Ciò detto, nel caso in commento - non essendo in dubbio l’esistenza, al momento del licenziamento, dell’interdittiva prefettizia - l’illegittimità del recesso deriva dal non avere la società dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile attendere la rimozione dell’impedimento alle normali funzioni del lavoratore, che poteva avere una durata temporale limitata, tenuto conto che l’azienda aveva ritenuto illegittimo il provvedimento e lo aveva impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.

Tale ipotesi, conclude la Cassazione, non è riconducibile a quella - peculiare - che postula un connotato di particolare evidenza nell’insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso, risultando invece sussumibile nell’alveo di quella di portata generale per la quale è sufficiente che non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo. Il lavoratore, pertanto, avrà diritto alla tutela risarcitoria prevista dal quinto comma dell’articolo 18, da determinarsi tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La sentenza n. 331/17 della Corte di cassazione

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