Contenzioso

Va remunerata l’opzione di non concorrenza

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

La clausola di opzione apposta ad un patto di non concorrenza, la quale prevede il diritto del datore di lavoro di decidere, fino ad un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, se avvalersi, o meno, delle condizioni relative al patto medesimo, deve considerarsi nulla in assenza di un effettivo corrispettivo a vantaggio del lavoratore.

La Corte di cassazione ha ritenuto (sentenza numero 3 del 2 gennaio 2018) che, in tal caso, la clausola di opzione realizza una illecita sperequazione tra la posizione del lavoratore e quella del datore di lavoro, posto che solo il primo si vincola ab origine alle limitazioni che derivano dal patto di non concorrenza in termini di sviluppo di nuove e diverse opportunità professionali, senza che il datore sia tenuto a sopportare un costo certo in termini di corrispettivo. In altre parole, la clausola di opzione accedente al patto di non concorrenza, in mancanza di un corrispettivo per il lavoratore, ha un intrinseco intento fraudolento, in quanto vincola il dipendente all'adempimento delle relative obbligazioni fin dalla data di assunzione, mentre il datore resta libero di non aderire al patto di non concorrenza e, quindi, dall'obbligo di pagare un compenso.

La Corte di cassazione perviene a queste conclusioni nell'ambito di una controversia che vedeva contrapposti una agenzia di somministrazione di manodopera al responsabile commerciale di una filiale in merito alla validità di un patto di non concorrenza nel quale era previsto, tra l'altro, che il lavoratore concedeva alla società, per effetto della formazione professionale ricevuta, il diritto di decidere entro 30 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro se avvalersi delle limitazioni previste dal medesimo patto.

La società non aveva esercitato il diritto di opzione e, su tale presupposto, a seguito della risoluzione del rapporto non aveva pagato al suo ex dipendente il compenso collegato al patto di non concorrenza. Il lavoratore si era rivolto al giudice del lavoro, sostenendo la nullità della clausola sul diritto di opzione e aveva richiesto il pagamento del corrispettivo sul presupposto che, tra l'altro, egli si era vincolato alle limitazioni del patto di non concorrenza, tanto da aver assunto nuovo impiego in un settore produttivo del tutto estraneo.

Ad avviso della società, invece, il patto di opzione era legittimo, tra l'altro, in quanto la formazione impartita in costanza di rapporto costituiva il corrispettivo a vantaggio del lavoratore.

La Corte d'appello di Brescia, riformando la decisione del giudice di primo grado, ha accolto la domanda del lavoratore, ritenendo nulla la clausola sull'opzione anche sul rilievo che l'attività formativa non poteva costituire corrispettivo del diritto di opzione, atteso che il dipendente era stato assunto con contratto di formazione e lavoro.

La Cassazione conferma la decisione della corte territoriale e rimarca che, nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato, deve ritenersi nullo il patto di opzione annesso al patto di non concorrenza in assenza di una controprestazione a beneficio del lavoratore, a causa dello squilibrio che si realizza tra i rispettivi interessi delle parti. La riserva al datore di lavoro del diritto di utilizzare, o meno, le condizioni del patto di non concorrenza fino ad una data successiva alla cessazione stessa del rapporto di lavoro comprime illegittimamente il potere negoziale del lavoratore, che si trova ad essere vincolato alle limitazioni del patto senza avere alcuna certezza in ordine al corrispettivo.

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