Contenzioso

Licenziamento in malattia, giudici divisi sull’inefficacia

di Daniele Colombo

Il licenziamento intimato al lavoratore durante il periodo di malattia, anche per cause diverse dal superamento del periodo di comporto, è inefficace o è affetto da nullità? È il quesito sollevato dalla Corte di cassazione nella ordinanza 24766 del 19 ottobre 2017 che, verificato un contrasto giurisprudenziale su questo punto, ha rimesso la questione al Primo presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite della Corte.

La vicenda all’esame della Corte è una controversia che riguarda l’impugnazione giudiziale di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, nella quale il lavoratore contestava il calcolo errato dei giorni di “conservazione” del posto in relazione all’arco temporale cui fare riferimento in base al contratto collettivo applicato (48 mesi).

Nei primi due gradi di giudizio il ricorso del lavoratore è stato respinto. I giudici di primo e di secondo grado, infatti, hanno ritenuto che, pur essendo intimato in costanza di malattia, il recesso del datore doveva essere considerato inefficace fino alla cessazione della malattia (che coincideva con il compimento del comporto). Il licenziamento, quindi, non era ingiustificato, ma solo temporaneamente inefficace. La sentenza di primo grado, confermata in appello, tra gli altri motivi, veniva censurata di fronte alla Cassazione.

Licenziamento inefficace

La questione suscita importanti spunti di riflessione perché si colloca nel più vasto ambito della tematica relativa al licenziamento intimato (anche per causa diversa dal superamento del periodo di comporto) in costanza di malattia e, quindi, nel periodo di “garanzia” della conservazione del posto in base all’articolo 2110, comma 2, del Codice civile. Si pensi, ad esempio, a tutte le ipotesi di licenziamento per ragioni organizzative intimato a un lavoratore che si ammali prima della ricezione della missiva relativa al recesso e spedita al suo indirizzo.

Si pensi, ancora, all’ipotesi in cui la malattia insorga al momento della consegna della lettera di apertura della procedura di recesso per motivo economico o oggettivo. Siamo in presenza di un vizio di nullità del licenziamento o di una semplice inefficacia dello stesso per tutto il perdurare della malattia?

La giurisprudenza prevalente della Cassazione ritiene valido il licenziamento per giustificato motivo intimato nel periodo di malattia, risultando solo sospesa l’efficacia dell’atto unilaterale fino al venir meno della situazione ostativa (si vedano le sentenze della Cassazione 23063 del 10 ottobre 2013; 11674 del 6 gennaio 2005, 9037 del 4 luglio 2001).

Il fondamento normativo di questo assunto risiede nel principio di conservazione degli atti giuridici (articolo 1367 del Codice civile), estendibile anche al licenziamento (in quanto atto unilaterale) per effetto del rinvio contenuto nell’articolo 1324 del Codice civile.

Licenziamento nullo

A questo orientamento, tuttavia, si contrappone un altro filone giurisprudenziale in base al quale, invece, il licenziamento comunicato in costanza di malattia è affetto da nullità. Secondo questo orientamento, in caso di licenziamento intimato anteriormente alla scadenza del comporto stesso, l’atto di recesso è nullo per violazione di una norma imperativa, contenuta nell’articolo 2110 del Codice civile, che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore. Il recesso dunque non sarebbe solo temporaneamente inefficace, con differimento dei relativi effetti al momento della scadenza.

Il superamento del comporto costituisce, secondo questa interpretazione giurisprudenziale, in base all’articolo 2110 del Codice civile, una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve, perciò, esistere anteriormente alla comunicazione dello stesso, perché possa legittimare il datore di lavoro al compimento di quest’atto (Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 24525 del 18 novembre 2014).

Le conseguenze

Le conseguenze di un licenziamento nullo sono, a ben vedere, sostanzialmente diverse rispetto a quelle di un licenziamento inefficace.

Nel primo caso, infatti, il lavoratore avrà diritto alla reintegrazione in servizio con tutte le conseguenze risarcitorie previste dall’articolo 18 della legge 300/1970.

Nel secondo caso, invece, il licenziamento è di per sé valido, ma i suoi effetti rimangono per così dire “congelati” sino alla cessazione della malattia.

Da qui l’importanza di una pronuncia che dirima definitivamente la questione, come richiesto dall’ordinanza della Cassazione del 19 ottobre scorso.

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