Contenzioso

La rivalsa si può chiedere entro dieci anni dalla prescrizione

di Fabio Venanzi

Il principio di certezza della posizione previdenziale impone un termine finale di prescrizione che è quello decennale. Il principio è stato stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 21302 depositata ieri. Una pubblica amministrazione aveva fatto ricorso contro una sentenza di secondo grado che aveva dato ragione a una lavoratrice che aveva richiesto e ottenuto la costituzione di rendita vitalizia per periodi lavorativi svolti tra il 1973 e il 1974. In tale periodo la ricorrente aveva svolto prestazioni di dattilografia “a notula”, con remunerazione oraria che, secondo il datore di lavoro, si configurava quale rapporto di lavoro autonomo. Per effetto di tale inquadramento, l’Inps aveva respinto la costituzione di rendita vitalizia. Infatti tale istituto può essere attivato – di norma – dai lavoratori dipendenti e dai coadiuvanti o coadiutori, se il datore di lavoro ha omesso il versamento obbligatorio dei contributi che non possono essere più versati con le consuete modalità, essendo intervenuta la prescrizione.

Dopo l’entrata in vigore della Riforma Dini (legge 335/95) la prescrizione è stata ridotta al termine di cinque anni, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, nel qual caso è consentita la conservazione della prescrizione decennale per i contributi dovuti a favore del Fondo pensione lavoratori dipendenti e di tutte le altre gestioni pensionistiche obbligatorie. Secondo la parte ricorrente, poiché la lavoratrice aveva richiesto la condanna della Pa a versare all’Inps la riserva matematica derivante dalla costituzione della rendita vitalizia, il termine di prescrizione decorreva solo dal momento della prescrizione del credito contributivo dell’Inps, per cui, considerato che il periodo rispetto al quale si chiedeva l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro era compreso tra il 1973 e il 1974, ne conseguiva che nel mese di ottobre 1984 si era prescritto il credito contributivo mentre nel mese di ottobre 1994 il diritto alla costituzione della rendita, ragione per cui erano da considerare tardive sia la richiesta al datore di lavoro per il riconoscimento contributivo, sia la domanda all’Inps.

Tale principio si basa su una statuizione derivante dalla stessa Cassazione secondo la quale il diritto del lavoratore di vedersi costituire, a spese del datore di lavoro, la rendita vitalizia, per effetto del mancato versamento da parte di quest’ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinario di prescrizione, che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’Inps, senza che rilevi la conoscenza o meno – da parte del lavoratore – dell’ omissione contributiva. Tuttavia si deve segnalare che la richiesta di riscatto per contribuzione omessa può essere presentata – secondo le indicazioni dell’Inps – senza limite temporali, anche dopo la concessione di un trattamento pensionistico, oppure per coprire omissioni parziali nel caso di versamento di contribuzione ridotta oppure solo per coprire parzialmente il periodo durante il quale si è verificata l’ omissione contributiva con il fine di riscattare le sole settimane utili per perfezionare il diritto alla pensione.

Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 21302 del 14 settembre 2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©