Contenzioso

Onere della prova in base alla causa della malattia

di Angelo Zambelli

L’indagine a cui è chiamato il giudice nell’accertamento della natura professionale di una malattia differisce a seconda che questa sia o meno “tabellata” in base al Dpr 336/1994. Questa regola è stata ricordata dai giudici di Corte di cassazione nella sentenza 20769/2017 che vedeva contrapposti un lavoratore malato di cancro e l’Inail.

Dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) deriva infatti una presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, «con il conseguente onere di prova contraria a carico dell’Inail, quale è, in particolare, la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure il fatto che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa è necessario accertare, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi sia stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, che da solo o in misura prevalente, abbia cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia» (Cassazione 23653/2016).

Tale regola opera anche in caso di malattia, come quella tumorale, a eziologia multifattoriale, «sicché l’Inail può solo dimostrare che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio, in quanto quest’ultima sia cessata da lungo tempo» (Cassazione 13856/2017).

Nel caso, viceversa, di agente non tabellato, la prova del nesso causale è a esclusivo carico del lavoratore (Cassazione 19047/2006). Pertanto, nel caso oggetto della sentenza, i giudici avrebbero dovuto verificare, come prima cosa, se le vernici utilizzate in azienda contenevano o meno ammine aromatiche derivate dall’ammoniaca o dal benzene, perché solo ciò avrebbe permesso di considerare l’agente patogeno come “tabellato”, con conseguente applicazione del regime probatorio più favorevole al lavoratore.

Ma ciò non è avvenuto, in quanto la Corte di appello non ha svolto alcuna indagine circa la tipologia di vernici utilizzate e, «pur ritenendo l’effettiva esposizione all’azione di vernici ed ammine aromatiche come possibile fattore causale del carcinoma vescicale contratto dal ricorrente, ha concluso affermando con certezza che la causa del carcinoma alla vescica [fosse] da ritenere l’abitudine al fumo di sigaretta».

Per tali motivi è stato accolto il ricorso presentato dal lavoratore, il quale avrà diritto a vedere la propria domanda riesaminata nel merito dalla Corte di appello sulla base dei principi enunciati dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza 20769 del 5 settembre

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