Contenzioso

Per giustificare il licenziamento economico non è sufficiente la ricerca di maggior profitto

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli


La Corte di cassazione, con l'ordinanza 14871/2017, interviene ancora su un caso di licenziamento economico, e segna un punto a favore di quel più rigoroso orientamento giurisprudenziale secondo il quale nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è riconducibile anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato “al fine di una più economica gestione di essa”, ma solo se deciso dall'imprenditore “non semplicemente per un incremento del profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti”, che impongono una “effettiva necessità di riduzione dei costi”.

Nel caso in esame, una Congregazione religiosa aveva intimato il licenziamento al lavoratore per soppressione del posto di lavoro (responsabile della gestione di una residenza sanitaria assistita), e affidamento delle relative mansioni ad una religiosa, già operante nella struttura, nonché ad altri dipendenti in forza e a consulenti esterni.

In prima battuta il Tribunale di Cagliari aveva respinto le doglianze del lavoratore, ma la Corte di appello aveva invece ribaltato l'esito del giudizio, respingendo le difese della congregazione e dichiarando l'illegittimità del licenziamento.

La Corte di cassazione ha riformato la decisione dei giudici del gravame, e ha sottolineato come, ai fini del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non sia affatto necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite secondo quelle che sono le insindacabili scelte imprenditoriali.

Al giudice, in sostanza, spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, ma gli è invece precluso ogni sindacato sulla scelta dei criteri di gestione dell'impresa, con la conseguenza che non è sindacabile, né sotto il profilo della congruità né di quello della opportunità, la scelta che abbia comportato la soppressione del settore o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato. Peraltro, secondo la Corte, ai fini della configurabilità del giustificato motivo non è neppure necessario che tutte le mansioni vengano soppresse, ben potendo le stesse “essere solo diversamente ripartite ed attribuite”.

La sentenza si segnala perché richiama e intende dare espressa continuità a quell'orientamento, che la stessa Corte definisce “risalente” perché si rifà alla pronuncia 21282 del 2006, secondo il quale il riassetto organizzativo attuato al fine di una più economica gestione dovrebbe rispondere ad una impellente necessità di riduzione dei costi, per fare fronte ad una situazione di grave squilibrio economico-finanziario dell'azienda, non essendo invece sufficiente la sola volontà di incrementare i profitti.

La decisione interviene solo poche settimane dopo la pronuncia 13015/2017, con la quale invece la Suprema corte aveva aderito all'orientamento opposto, considerato più liberista (si vedano anche Cassazione 13516/2016 e 25201/2016), secondo il quale per procedere ad un licenziamento economico non è necessario lo stato di crisi dell'azienda, essendo sufficiente provare solo l'effettiva riorganizzazione aziendale finalizzata a un miglioramento dei risultati economici, anche se già positivi.

Il conflitto giurisprudenziale si acuisce quindi sempre di più, e solo un intervento nomofilattico delle Sezioni Unite sembra a questo punto in grado di risolvere l'incertezza generata dal continuo avvicendarsi di decisioni che si rifanno ora all'uno e ora all'altro orientamento, contribuendo così ad accrescere il rischio che incombe su parte datoriale.

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