Contenzioso

Consultazione dei documenti, rifiuto lecito se non tocca la difesa

di Angelo Zambelli

Con la sentenza n. 15966 del 27 giugno scorso la Cassazione interviene su un aspetto del procedimento disciplinare spesso al centro di dispute giudiziarie, ossia l’esistenza o meno, in capo al dipendente privato, di un diritto alla consultazione dei documenti aziendali sui quali si fondano gli addebiti mossi dal datore di lavoro.

La vicenda vede protagonista un lavoratore con mansioni di piazzista, licenziato per giusta causa «per essersi appropriato di merce mediante falsa indicazione dei “resi”», sulla base di prove desunte dalle «anomalie riscontrate dalla datrice di lavoro circa le risultanze del palmare in dotazione al lavoratore, nel quale venivano inseriti i dati relativi ai resi giornalieri».

Nell’impugnare il licenziamento, il lavoratore aveva denunciato di non aver potuto, nonostante le reiterate e formali richieste in tal senso, visionare la documentazione aziendale afferente l’addebito, e di aver perciò subìto un procedimento disciplinare “al buio” senza avere la possibilità di difendersi: poiché la ricostruzione fattuale dell’addebito si fondava «sul mero esame di confronto di documenti - disposizioni aziendali, stampe dei resi, palmare e fatture - il rifiuto di far visionare la documentazione aveva di fatto impedito ogni difesa».

La tesi del lavoratore, tuttavia, non fa presa sulla Cassazione, la quale, richiamando i propri precedenti in materia, ribadisce che «l’articolo 7 della legge n. 300 del 1970 non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all’esito del procedimento suddetto, l’ordine di esibizione della documentazione stessa. Il datore di lavoro è tenuto, tuttavia, ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali solo in quanto e nei limiti in cui l’esame degli stessi sia necessario al fine di una contestazione dell’addebito idonea a permettere alla controparte un’adeguata difesa; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il lavoratore che lamenti la violazione di tale obbligo ha l’onere di specificare i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria al predetto fine» (Cassazione nn. 23304/10 e 18288/07. In senso analogo, Cassazione n. 6337/13).

La pretesa attinente alla consultazione dei documenti aziendali da parte dell’incolpato si fonda, pertanto, «non su una specifica disposizione di legge, ma sui princìpi di correttezza e buona fede», e si giustifica soltanto qualora il mancato accesso alla documentazione aziendale renda impossibile per il dipendente esplicare la propria attività difensiva.

Ne consegue, secondo la Cassazione, il legittimo rifiuto del datore di lavoro di dar seguito alla richiesta del lavoratore di visionare i documenti ogniqualvolta – come nella vicenda in commento – la contestazione disciplinare abbia già descritto in modo dettagliato le condotte ascritte e, per altro verso, neppure il lavoratore abbia prospettato l’esistenza di specifiche ragioni in forza delle quali la mancata consultazione dei documenti aziendali potrebbe compromettere l’esercizio del diritto di difesa.

La sentenza n. 15966/17 della Corte di cassazione

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