Contenzioso

Per i licenziamenti niente automatismi

di Angelo Zambelli

Anche di fronte al compimento di illeciti disciplinari tipizzati dalla contrattazione collettiva, deve escludersi ogni automatismo nell’irrogazione dei provvedimenti disciplinari: la proporzionalità della sanzione (articolo 2106 del codice civile) è infatti «regola valida per tutto il diritto punitivo».

Questo, in sintesi, il principio ribadito dalla Corte di cassazione ( sentenza 15209/2017 ) nella controversia che ha visto una dipendente di un ente pubblico non economico (nella specie, un Ordine degli avvocati provinciale) opporsi al licenziamento per giusta causa intimatole per aver commesso una pluralità di condotte illecite, tra cui la «pronuncia a gran voce ed in presenza di terzi di espressioni gravemente infamanti, gratuitamente offensive e diffamatorie e lesive dell’onore e del decoro» dell’ente datore di lavoro e delle altre collaboratrici in servizio, nonché «plurimi episodi di insubordinazione e rifiuto di prestare servizio allo sportello e di effettuare la protocollazione degli atti, prolungata perdita dell’autocontrollo».

La Corte di appello ha ritenuto legittimo il licenziamento, anche alla luce del Ccnl “di comparto”, che punisce con la sanzione del licenziamento senza preavviso «le violazioni di doveri di comportamento, anche nei confronti di terzi, di gravità tale da compromettere irreparabilmente il rapporto di fiducia con l’amministrazione e da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro».

Nell’impugnare tale sentenza, la lavoratrice ha lamentato che la Corte di appello ha violato i principi di gradualità e di proporzionalità della sanzione disciplinare, deducendo che il Ccnl punisce con sanzioni conservative fatti ben più gravi di quelli che le sono valsi il licenziamento, e prevedendo la massima sanzione in caso di «minacce, ingiurie gravi, calunnie e diffamazioni verso il pubblico o altri dipendenti», solo una volta giunti alla «terza recidiva nel biennio». A propria difesa, poi, la lavoratrice ha sostenuto l’assenza di intenzionalità della condotta.

La Cassazione, tuttavia, ha respinto alla radice tali argomenti osservando che la proporzionalità del licenziamento rispetto ai fatti addebitati è stata correttamente valutata dalla Corte di appello «in considerazione degli aspetti concreti del rapporto dedotto in giudizio, del ripetuto rifiuto di svolgere le mansioni affidate (servizio allo sportello, protocollazione degli atti), della rilevanza penale dei comportamenti (espressioni ingiuriose e diffamatorie contrarie al decoro e all’onore del datore di lavoro e delle colleghe), della protrazione nel tempo della condotta e dell’elemento intenzionale, tratto dalla manifesta incapacità di gestire in maniera controllata le relazioni (ed i contrasti con le colleghe) nell’ambito di un contesto lavorativo di normalità».

Quanto, infine, alla denunciata assenza di intenzionalità delle condotte, la Cassazione rileva come anche un comportamento di natura colposa (e, pertanto, non intenzionale) possa risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto (Cassazione 13512/2016; 5548/2010).

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