Contenzioso

L’utilizzo abusivo del telefono cellulare aziendale legittima il licenziamento per giusta causa

di Elena Cannone e Vittorio De Luca


La sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4262 del 17 febbraio 2017, ha affrontato il tema della legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente con qualifica di quadro per uso personale dell'utenza telefonica mobile intestata al datore di lavoro e concessa in dotazione per ragioni di servizio. Nel caso di specie il lavoratore è stato licenziato per avere effettuato con il telefono cellulare aziendale oltre mille telefonate per motivi personali. Nell'impugnare giudizialmente il licenziamento disciplinare, il lavoratore ha, tra i vari motivi, lamentato la violazione dell'articolo 4 (che disciplina i limiti del controllo a distanza dell'attività dei lavoratori) e dell'articolo 8 (divieto di indagini sulle opinioni) della legge 300/70, oltre che della normativa in materia di trattamento dei dati personali di cui al dlgs 196/2003.
La Cassazione, ritenendo corretta la decisione dei giudici di merito, ha escluso l'asserita violazione dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori sull'assunto che la fattispecie sottoposta al suo esame esula dal campo di applicazione di tale articolo. Ciò in quanto il datore di lavoro, per accertare la condotta illecita del dipendente, non ha fatto uso di impianti audiovisivi o altre apparecchiature preordinate al controllo a distanza dell'attività lavorativa, bensì delle risultanze emerse dai tabulati del traffico telefonico. La disposizione in esame, infatti, non preclude al datore di lavoro di utilizzare i tabulati telefonici per provare un illecito del proprio dipendente.
La Corte ha, altresì, considerato infondata l'eccezione relativa alla violazione dell'articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori che impone al datore di lavoro, sia ai fini dell'assunzione, sia nel corso del rapporto di lavoro, di non effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine professionale. Ciò in quanto, a parere della Cassazione, non è stato violato alcun diritto alla riservatezza del dipendente. Dai tabulati telefonici emergevano, sempre secondo i giudici di legittimità, solo i contatti eseguiti con il telefono cellulare in dotazione; dagli stessi non si poteva risalire né al nome dell'interlocutore, né tanto meno conoscere il contenuto della conversazioni intercorse.
In sostanza, secondo la Corte, nel caso in esame “non possono dirsi violati gli articoli 4 e 8 dello Statuto dei lavoratori, essendo del tutto legittimo che parte datoriale, nel controllo di gestione della sua attività, possa rilevare anomalie nell'uso dei beni concessi in dotazione ai propri dipendenti, come ad esempio i telefoni cellulari, dai cui tabulati, relativi al traffico voce o dati (trasmessi unitamente alle relative fatturazioni, peraltro con debite omissioni ed opportuni mascheramenti) emergano stranezze tali da poter indurre a ritenere abusi da parte degli affidatari”. Da ciò ne consegue che non vi sia stata neanche alcuna violazione della normativa dettata in materia di trattamento dei dati personali.
La Cassazione ha quindi rigettato l'impugnazione proposta dal lavoratore e confermato la piena legittimità del licenziamento intimato, considerando del tutto proporzionale la sanzione espulsiva del recesso rispetto all'addebito mosso nei suoi confronti, costituente proprio una palese violazione degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede ex articoli 2014 e 2015 codice civile, che sottendono un normale rapporto di lavoro.

La sentenza n. 4262/17 della Corte di cassazione

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