Contenzioso

Inidoneità, licenziamenti con verifica

di Elsa Mora e Valentina Pomares

Il licenziamento intimato per la sopraggiunta inidoneità del lavoratore alla sua mansione impone una serie di precauzioni al datore, per non rischiare di incorrere nella illegittimità del recesso. Alcuni spunti interessanti arrivano da una sentenza recente della Corte d’appello di Bologna (576 del 4 maggio 2017), emessa in seguito al reclamo promosso da una società, contro una sentenza del Tribunale di Parma, in sede di opposizione, nel rito “Fornero”. Il Tribunale aveva dichiarato illegittimo un licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità alla mansione, ritenendo violato l’obbligo di repêchage, perché la perizia medico-legale disposta dal giudice avrebbe individuato, in azienda, almeno due posizioni compatibili con lo stato di salute della lavoratrice licenziata.

La Corte d’appello di Bologna, modificando la sentenza del Tribunale, ha dichiarato il licenziamento legittimo, rilevando che, se le posizioni potenzialmente compatibili citate non sono effettivamente vacanti, il repêchage non può ritenersi violato: non si può infatti chiedere all’imprenditore di modificare l’organizzazione aziendale pur di ricollocare il lavoratore divenuto inidoneo.

La sentenza si inserisce nel solco della giurisprudenza secondo cui i requisiti di validità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità sono i seguenti:

il carattere permanente dell’inidoneità totale/parziale (Corte d’appello di Potenza, sentenza 215 del 19 maggio 2016 della sezione lavoro). Un’interessante sentenza della Cassazione ha precisato peraltro, su questo punto, che l’inidoneità permanente rileva quale impossibilità della prestazione lavorativa anche se accertata senza ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio (Cassazione, sentenza 6501 del 26 aprile 2012);

la mancanza d’interesse all’uso parziale della prestazione, qualora il licenziamento sia conseguito a un’inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle sue mansioni soltanto parziale (Cassazione, sentenza 10626 del 22 maggio 2015);

l’esclusione della possibilità di adibire il lavoratore a una diversa attività riconducibile a mansioni equivalenti e, subordinatamente, a mansioni inferiori (il codissetto obbligo di repêchage).

Sull’obbligo di repêchage, l’orientamento della giurisprudenza un tempo prevalente riteneva che la sopravvenuta inidoneità del lavoratore potesse giustificare il suo licenziamento, senza l’onere per il datore di lavoro di provare l’assenza di possibili ricollocazioni alternative (Cassazione, sentenze 3174 del 18 marzo 1995 e 9684 del 6 novembre 1996).

Tuttavia, l’orientamento successivamente divenuto maggioritario, anche alla luce del Testo unico sulla sicurezza (Dlgs 81/2008), stabilisce espressamente quale condizione di legittimità del licenziamento, la dimostrazione da parte del datore di lavoro dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore in posizioni equivalenti o inferiori (Cassazione, sentenza 3224 del 12 febbraio 2014).

Lo stesso orientamento prevede però che questo onere probatorio debba considerarsi esistente soltanto nella misura in cui il lavoratore abbia quantomeno dedotto la sussistenza di posizioni lavorative libere che l’azienda avrebbe potuto assegnargli (Cassazione, sentenza 10018 del 16 maggio 2016 e Tribunale di Taranto, sezione lavoro, sentenza del 16 gennaio 2013).

Tuttavia, sebbene non con riferimento allo specifico tema dei licenziamenti per inidoneità sopravvenuta ma in merito ai recessi per soppressione della posizione lavorativa, si sta registrando un’inversione di tendenza, alla luce di recenti sentenze che pongono l’onere della prova in materia di repêchage integralmente in capo al datore di lavoro (Cassazione, sentenza 16022 del 5 gennaio 2017).

Il consiglio è quello di valutare sempre con attenzione l’intimazione di questo tipo di licenziamento, sia per lo stringente onere probatorio a carico del datore di lavoro, sia perché non si può escludere il rischio che il giudizio del medico competente (eventualmente confermato dalla commissione medica della Asl) sia modificato a seguito di un nuovo accertamento sanitario disposto dal giudice adito dal lavoratore che abbia impugnato il licenziamento.

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