Contenzioso

Gruppo di imprese se c’è frazionamento fraudolento

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Il collegamento economico/funzionale tra imprese, quand’anche riconducibili al medesimo gruppo, non è elemento sufficiente a far ritenere che il rapporto di lavoro, intercorso con una di esse, possa essere esteso alle altre società della stessa compagine.

La Corte di cassazione ( sentenza 14175/2017 ) rileva che si ha un unico centro di interessi a cui ricondurre il rapporto di lavoro dei dipendenti, ai fini del computo del requisito occupazionale e della verifica sulle ragioni aziendali alla base di licenziamento, nel solo caso in cui, nel contesto di svariate società appartenenti allo stesso gruppo, sia dimostrata l’esistenza di un frazionamento fraudolento.

Uniformandosi a un proprio consolidato indirizzo, la Corte rileva che, al fine di comprovare la simulazione in frode alla legge, e, quindi, di riconoscere la riconducibilità dei rapporti lavoro a un unico centro di imputazione, è necessario che ricorrano le seguenti condizioni: la presenza di un’unica struttura organizzativa e produttiva, l’interazione tra le attività svolte dalle varie imprese del gruppo, il perseguimento di un interesse comune dalle suddette imprese, l’esistenza di un unico centro direttivo, che sia preordinato al coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario delle varie entità e, infine, l’utilizzazione promiscua dei lavoratori da parte di tutte le società.

Ricorrendo questo insieme di condizioni, la verifica sulla legittimità del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, prosegue la Cassazione, va effettuata non con riferimento al più limitato contesto aziendale dell’impresa da cui il lavoratore estromesso dipendeva, bensì con riguardo a tutte le società del gruppo.

Il caso esaminato dalla Suprema corte è relativo a un dipendente che ha asserito l’illegittimità del licenziamento per non essere state contestualizzate le esigenze aziendali nel più ampio perimetro di tutte le società appartenenti alla medesima famiglia di imprenditori, per cui egli stesso ha sostenuto di aver promiscuamente lavorato.

Sia il tribunale che la Corte d’appello hanno dichiarato l’illegittimità del licenziamento, in quanto, dalle prove raccolte in giudizio, è emerso il contemporaneo utilizzo del lavoratore da parte di tutte le società, nonché l’appartenenza delle quote agli stessi familiari, i quali ne erano anche gli amministratori. Tali elementi, uniti al fatto che la sede e l’unità operativa erano comuni per tutte le società, hanno indotto a ritenere l’esistenza di un frazionamento in frode alla legge delle varie entità. La Cassazione condivide queste conclusioni.

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