Contenzioso

Licenziamento economico valido se la posizione è cancellata

di Serena Fantinelli e Uberto Percivalle

La Corte di appello di Milano, con la sentenza 610 del 3 marzo 2017 (presidente relatore B. Pattumelli), è intervenuta in un giudizio promosso da un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo.

Con una pronuncia doppia conforme, ha dato seguito e consolidato l'orientamento della Corte di cassazione (sentenze 25201/16 e 19185/2016) secondo il quale, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore deve dimostrare, e il giudice deve accertare, l'effettività del mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una posizione lavorativa, mentre le circostanze di fatto che abbiano determinato la decisione di procedere a una riorganizzazione restano in secondo piano e non sono rilevanti, a meno che il datore di lavoro non abbia motivato il licenziamento con l'esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli.

Nel caso specifico, l'azienda ha licenziato il lavoratore per soppressione della posizione di export sales manager cui era addetto, in conseguenza di un processo di riorganizzazione posto in essere a seguito di una asserita riduzione del volume d'affari.

Nell'impugnare il licenziamento il dipendente ha concentrato la sua attenzione su tale calo di fatturato e sull'andamento dell'Azienda, senza contestare l'effettività della riorganizzazione e della soppressione della sua posizione lavorativa, probabilmente ritenendo che, negando il cattivo andamento dell'azienda, ne conseguisse una automatica contestazione della decisione di procedere alla riorganizzazione aziendale.

Sia il tribunale che la Corte di appello, però, hanno escluso l'illegittimità del licenziamento. I giudici, infatti, hanno rilevato che il lavoratore non ha contestato, sotto l'aspetto fattuale, la sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a base del recesso, e costituito dalla riorganizzazione aziendale con soppressione della sua posizione lavorativa, ma si è invece limitato a contestare l'insussistenza dello stato di crisi aziendale.

La Corte di appello, in particolare, ha evidenziato come la ragione posta dalla datrice di lavoro a base del recesso sia costituita dalla riorganizzazione aziendale con conseguente soppressione della posizione lavorativa, mentre la riduzione del volume d'affari abbia rappresentato solo, rispetto alla motivazione, “un presupposto di tipo fattuale, non integrante tuttavia la causa diretta della risoluzione del rapporto di lavoro”.

Diverso sarebbe stato, continuano i giudici, nell'ipotesi in cui il recesso fosse stato motivato dall'esigenza di fare fronte a situazione economiche sfavorevoli, o a spese di carattere straordinario: in quel caso, infatti, il calo di fatturato sarebbe stata la causa diretta del licenziamento, e non già – come nel caso specifico – un antecedente delle ragioni organizzative aziendali che hanno dato luogo alla soppressione del posto. Pertanto, dalla mancata contestazione da parte del lavoratore della effettiva ragione posta a base del licenziamento, e cioè la soppressione della posizione lavorativa a seguito del processo di riorganizzazione, non può che derivare l'accettazione giudiziale della sussitenza del giustificato motivo di licenziamento addotto.

L'argomentazione della sentenza, lineare e cristallina, ricorda a tutti gli operatori quanto sia importante affrontare con chiarezza l'analisi delle circostanze che determinano le situazioni di esubero, per poi redigere le giustificazioni del recesso in modo puntuale e diretto.

La sentenza

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