Contenzioso

Solidarietà del committente anche con gara pubblica

di Giampiero Falasca e Matteo Prioschi

Un’azienda privata è soggetta al regime di solidarietà del committente con l’appaltatore relativo alle retribuzioni e ai contributi previdenziali dovuti da quest’ultimo ai suoi dipendenti anche se applica il codice degli appalti per l’aggiudicazione e la stipula dei servizi.

Il rispetto di questa normativa, infatti, non cambia l’ambito di applicazione della responsabilità solidale, non estensibile - per espressa previsione di legge - ai soli soggetti aventi la qualifica di pubblica amministrazione in base al testo unico sul pubblico impiego. Questa la decisione contenuta nella sentenza 8959/2017 della Cassazione depositata ieri.

Una grande società di trasporti - di proprietà pubblica ma con struttura giuridica privata - ha affidato tramite appalto il servizio di pulizia e un dipendente dell’appaltante l’ha chiamata in causa per vedersi riconosciuti retribuzione e Tfr non pagati dal suo datore di lavoro.

In primo grado il giudice ha accolto le richieste del lavoratore, mentre la Corte d’appello, richiamando la sentenza 15432/2014 della Cassazione, ha ritenuto che la responsabilità solidale prevista dall’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 276/2003 non sia applicabile agli appalti pubblici.

Il dipendente ha quindi presentato ricorso in Cassazione. I giudici della Suprema corte hanno rilevato che, con la sentenza 15432/2014, in realtà è stata dichiarata l’inapplicabilità della responsabilità solidale del comparto privato ai soli committenti qualificabili come pubbliche amministrazioni, in quel caso specifico il ministero della Giustizia, in coerenza con l’articolo 1, comma 2, del Dlgs 276/2003 secondo cui «il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale».

Con la successiva sentenza 10731/2016, però, è già stato rilevato che «un analogo divieto di applicazione dell’articolo 29, secondo comma, del Dlgs 276/2003 non esiste nei confronti dei soggetti privati... cui pure si applica il codice dei contratti pubblici, nella sua qualità di “ente aggiudicatore”, secondo la definizione dell’articolo 3, ventinovesimo comma, Dlgs 163/2006 (il vecchio codice degli appalti pubblici, ndr)».

Secondo la Cassazione, quindi, non c’è incompatibilità tra le due norme, nel senso che l’applicazione verso un committente privato del codice degli appalti non conferisce automaticamente a tale soggetto la qualifica di pubblica amministrazione e, quindi, non comporta l’automatica esclusione del regime di responsabilità solidale.

Questo perché il Dlgs 276/2003 interviene sul mercato del lavoro con una particolare protezione della tutela delle condizioni dei lavoratori. Il codice dei contratti pubblici, invece, si concentra «sull’esecuzione dell’appalto in conformità a tutti gli obblighi previsti dalla legge».

Dunque queste diversità di situazioni e di interessi «giustifica la posizione più “onerosa” prevista» per gli imprenditori che sono soggetti alle doppie regole «in relazione alla peculiarità della loro qualificazione giuridica».

Nel caso specifico, quindi, è stato accolto l’appello del lavoratore e la decisione di secondo grado è stata cassata e rinviata alla Corte d’appello per un nuovo esame alla luce dei principi enunciati dalla Cassazione.

È utile ricordare che tale decisione non interferisce in alcun modo con le regole sulla preventiva escussione dell’appaltatore, di recente abrogate dal Dl 25/2017, che disciplinavano un momento successivo all’accertamento della responsabilità solidale.

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