Contenzioso

Recesso valido per chi istiga a violare le norme di sicurezza

di Massimiliano Biolchini e Giulia Spalazzi

Legittimo il licenziamento di chi istiga alla violazione delle procedure di sicurezza.

Con la sentenza n. 7338/2017 la Cassazione si è pronunciata in modo esemplare sulla legittimità del licenziamento disciplinare inflitto ad un responsabile della produzione che aveva adibito i propri sottoposti ad attività lavorative in violazione delle procedure di sicurezza adottate dalla Società, addirittura indicando loro le concrete modalità per eludere tali procedure, esponendo così i lavoratori al rischio di infortuni.

La Corte, rigettando il ricorso del lavoratore, ha confermato la sentenza della Corte d'appello di Ancona per la quale la violazione delle procedure di sicurezza, provata dalla società, doveva considerarsi di eccezionale gravità e, correlativamente, la condotta del responsabile della produzione era da ritenersi, sul piano oggettivo e soggettivo, idonea a ledere la fiducia del datore di lavoro e, conseguentemente, a legittimarne il licenziamento, sebbene in assenza di precedenti disciplinari. A nulla può valere l'obiezione che tali azioni sarebbero state poste in essere con lo scopo esclusivo di aumentare la produttività aziendale, dunque in nome di un malinteso e paradossale “interesse” del datore di lavoro.

Nel caso in esame il dipendente licenziato, che quale responsabile della produzione gestiva sei operai per turno, non solo aveva acconsentito che per oltre un mese e mezzo i lavoratori a lui sottoposti eludessero le procedure di sicurezza adottate nel reparto saldatura, ma addirittura aveva suggerito loro come eluderle, così esponendoli al concreto rischio di gravissimi infortuni. Il tutto al fine di conseguire risultati di maggiore produttività grazie ad una riduzione dei “tempi morti” in fase di lavorazione, non dovendo più gli operai entrare e uscire dall'isola in fase di avviamento del macchinario.

Come noto, e da ultimo ribadito dalla Cassazione con la sentenza 7166 del 21 marzo 2017, qualora l'infrazione disciplinare sia astrattamente valutabile quale giusta causa di licenziamento, il giudice deve apprezzare in concreto la gravità degli addebiti, che devono qualificarsi come grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia: la condotta del dipendente deve infatti essere idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento e, con essa, la sua affidabilità. Affidabilità e fiducia che, quando entrano in gioco valori di primaria importanza quali la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, devono essere soppesati con una maggiore attenzione e rigore.

La tutela della integrità psico-fisica dei lavoratori è, infatti, garantita dalla Costituzione come principio assoluto e come tale non ammette sconti: è un diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela da parte tanto del datore di lavoro quanto dei soggetti da questo delegati, tra i quali sono da annoverare senza dubbio i responsabili di reparto e preposti, sui quali gravano posizioni specifiche di garanzia notevolmente ampie e dirette a garantire il costante rispetto dei presidi infortunistici (così anche Cass. 44977/2013).

Nell'attuale mondo del lavoro, in cui la sicurezza sui luoghi di lavoro diviene un obiettivo da perseguire attraverso l'azione sempre più coordinata di datore di lavoro, preposti e lavoratori (si pensi da ultimo alla diffusione di piani di incentivazione aziendale che vedono, tra i parametri di valutazione, anche la riduzione degli infortuni sul lavoro), la violazione delle procedure di sicurezza e, a maggior ragione, la istigazione a violarle da parte di colui che, nell'organigramma aziendale, era deputato a farle rispettare non può che considerarsi condotta a tal punto grave da determinare una irrimediabile lesione del rapporto fiduciario e, con essa, una giusta causa di licenziamento, a nulla potendo rilevare la mancanza di precedenti disciplinari.

La sentenza n. 7338/17 della Corte di cassazione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©