Contenzioso

Intervento del Fondo di garanzia per il Tfr solo se per il datore di lavoro non può essere chiesto il fallimento

di Silvano Imbriaci

Nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda l'intervento del Fondo di garanzia istituito presso l'Inps dalla legge 297/1982, per il pagamento, del Tfr e delle ultime mensilità retributive in sostituzione del datore di lavoro insolvente (si veda il decreto legislativo 80/1992), si pone il problema della verifica dei presupposti per l'accoglimento della domanda in relazione allo stato di insolvenza del datore di lavoro.

Le norme istitutive del Fondo, infatti, assieme alla ricca prassi interpretativa dell'Inps (per esempio le circolari 74/2008 e 32/2010), indicano con sufficiente chiarezza quali siano i presupposti e i termini in base ai quali i lavoratori possono chiedere l'accesso alle prestazioni del Fondo, distinguendo il caso in cui il datore di lavoro sia sottoposto a una procedura concorsuale, dalle ipotesi in cui il datore non sia soggetto alle disposizioni del regio decreto 267/1942.

Nel primo caso (articolo 2, commi 2, 3 e 4 della legge 297/1982) i requisiti che il lavoratore deve provare sono:
a) la cessazione del rapporto di lavoro;
b) l'inadempimento da parte del datore di lavoro (anche parziale);
c) l'insolvenza del medesimo datore.
Tale ultima indicazione si risolve, nell'interpretazione giurisprudenziale e nella prassi, in una valutazione in concreto, con ingresso alla tutela del Fondo purché la stessa esecuzione individuale si sia dimostrata infruttuosa. Dunque la non soggezione al fallimento riguarda le ipotesi di astratta inapplicabilità della normativa concorsuale per ragioni soggettive e oggettive.

In tal caso, quando il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il requisito dell'insolvenza del datore di lavoro è sostituito dalla prova di due diverse condizioni: la dimostrazione che il datore di lavoro, appunto, non è soggetto alle disposizioni della legge fallimentare e la prova che le garanzie patrimoniali si siano comunque dimostrate in tutto o in parte insufficienti.

Nell'ipotesi in cui sia materialmente impossibile ottenere l'apertura di uno dei procedimenti concorsuali a carico del datore di lavoro, il dipendente deve dimostrare che anche l'esecuzione forzata alternativa individuale non ha dato possibilità di soddisfazione integrale del proprio credito (in tal caso la prova dell'esperimento dell'esecuzione individuale deve essere fornita in modo serio e adeguato, si veda Cassazione 17593/2016).

La sentenza 7924 del 28 marzo 2017 della sezione Lavoro della Corte di cassazione ribadisce questi principi generali, schematizzandoli in modo molto efficace, affermando che l'azione in base all’articolo 2, comma 5, della legge 297/1982 trova ingresso tutte le volte in cui il datore di lavoro non sia soggetto a fallimento (per motivi soggettivi o per ragioni ostative di carattere oggettivo).

Solo in questo caso si può aprire la strada ad un'esecuzione individuale, o comunque alla prova che l'esecuzione individuale si è rivelata infruttuosa, e non quando semplicemente la strada dell'esecuzione concorsuale si sia dimostrata complicata o difficile, ad esempio per la mancata individuazione della sede legale dell'impresa.

Il caso affrontato dalla sentenza si muove su questa ultima considerazione. Nella vicenda esaminata, le lavoratrici interessate avevano presentato la domanda di intervento del Fondo sulla base dell'accertamento oggettivo della cessazione dell'attività del datore di lavoro da oltre 1 anno. Tuttavia, secondo la Cassazione, dal momento che alla presentazione della domanda la società risultava ancora iscritta al registro delle imprese, in astratto poteva ancora dirsi assoggettabile al fallimento, in quanto l'articolo 10 della legge fallimentare, ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento, indica come decorrenza la data di cancellazione dal registro delle imprese.

Il fatto che la società fosse sconosciuta alla sede risultante dai pubblici registri non costituisce elemento idoneo ad impedire l'attivazione della procedura fallimentare (non è un requisito ostativo), ben potendo essere utilizzato, ai fini della notifica degli atti introduttivi, il rito degli irreperibili contemplato dall'articolo 143 del codice di procedura civile; oppure potendo l'interessato notificare la convocazione del fallito attraverso la comunicazione al legale rappresentante presso la residenza anagrafica, con le modalità del caso.

Peraltro, anche le mere difficoltà a carattere processuale non costituiscono condizione ostativa alla dichiarazione di fallimento: una sentenza del tribunale adito dichiaratosi incompetente non avrebbe impedito o la sua impugnazione o la riassunzione del giudizio presso il tribunale competente, al fine di ottenere la sentenza dichiarativa di fallimento (o la verifica dell'insufficienza dell'attivo). In questi casi non si può dunque parlare di non assoggettabilità in concreto, ma di semplice difficoltà di individuare la sede societaria o di decisione negativa ma non definitiva relativa ad un requisito processuale, elementi che di per sé non chiudevano la strada alla possibilità di provvedimento del giudice fallimentare

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