Contenzioso

Giuristi d’impresa e iscrizione all’albo

di Silvano Imbriaci

La commissione consultiva del Cnf è di recente intervenuta (quesito 279, Coa di Bologna, parere del 10 marzo 2017) sul tema della iscrivibilità dei “giuristi d'impresa” all'Albo degli avvocati, in deroga a quanto previsto dall'articolo 18 della legge professionale forense (247/2012).

Il giurista d'impresa costituisce all'interno delle aziende una figura di dipendente di alto profilo tecnico, solitamente in possesso dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, che mette a disposizione la sua competenza nell'attività di assistenza e consulenza a favore del proprio datore di lavoro, in relazione ai risvolti e agli aspetti giuridici connessi all'attività imprenditoriale, in molteplici settori: valutazione e gestione dei rischi derivanti dalla violazione di norme giuridiche o dalla loro non corretta applicazione; rapporti di lavoro interni; apporto conoscitivo legale volto ad una migliore determinazione delle scelte imprenditoriali; valutazione preliminare del contenzioso, anche al fine di stabilire scelte strategiche; rapporti qualificati con i professionisti esterni.

Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2, comma 6, della legge 247/2012, ferma restando l'esclusività a favore degli avvocati (iscritti all'albo professionale) dell'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attività giurisdizionale, è consentita l'instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione d'opera continuativa e coordinata aventi ad oggetto la consulenza e l'assistenza legale stragiudiziale, nell'esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto nei cui confronti è prestata l'opera. Da qui la questione circa la possibilità di ammettere l'iscrizione dei giuristi d'impresa all'albo professionale, nell'elenco speciale, in deroga a quanto previsto dall'articolo 18 della stessa legge professionale, che prevede l'incompatibilità della professione di avvocato con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo o subordinato, o con l'esercizio d'impresa.

Peraltro, la corrispondente figura in ambito europeo (il cosiddetto general counsel) conserva generalmente intatte le sue prerogative di avvocato, connesse anche agli obblighi di natura deontologico-professionale. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, tuttavia, secondo il Cnf lo status di giurista d'impresa non consente l'iscrizione all'albo, in quanto le deroghe al principio di incompatibilità per gli avvocati dipendenti, stabilito dall'articolo 18, riguardano solo gli avvocati incardinati negli enti pubblici (articolo 23 della legge 247/2012).

Le due figure non possono essere confuse, in quanto le indicazioni contenute nell'articolo 23 della legge professionale riguardano soggetti che svolgono la loro attività nell'interesse di pubbliche amministrazioni e che quindi, accanto ad un aspetto professionale, conservano una rilevanza pubblicistica nel loro agire, che non si esaurisce nella difesa dell'interesse immediato e diretto dell'amministrazione, ma che si caratterizza per la migliore realizzazione dell'interesse pubblico e di buona amministrazione (ad esempio, mediante lo stimolo all'esercizio del potere di autotutela o il risparmio di spesa) e che dunque possono accedere all'iscrizione all'albo professionale per meglio garantire - nell'ottica di questo interesse superiore - l'esercizio dello ius postulandi a favore degli enti che rappresentano in giudizio.

Tanto è vero che la stessa permanenza dell'iscrizione degli avvocati dipendenti è circondata da rigorosi requisiti che riguardano sia l'avvocato come singolo, sia l'ufficio nel quale si svolge l'attività e che si possono sintetizzare nell'esclusività, intesa sia come tendenziale divieto di esercitare la professione a favore di soggetti o enti pubblici diversi da quello di appartenenza (cfr. Corte Cost. n. 91/2013), sia come divieto di assegnazione all'avvocato di mansioni amministrative o comunque di natura diversa rispetto ai normali compiti riconducibili alla attività di assistenza e rappresentanza e difesa dell'ente (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 19547/2010); nell'autonomia, intesa come svolgimento dell'attività in un ufficio esclusivamente adibito ad attività di natura legale e forense, in regime di indipendenza gerarchica rispetto alle altre strutture dell'ente e con funzioni di responsabilità/coordinamento affidate ad un avvocato iscritto all'albo e non ad un dirigente amministrativo; nell'indipendenza, requisito strettamente collegato con il precedente, che si sostanzia nella libera formazione del giudizio, nella libera valutazione della fattispecie e nella autonomia delle scelte professionali (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, VI Sez. nn. 5447 e 5448/2016: gli avvocati dipendenti svolgono comunque attività professionale e l'esercizio dei poteri datoriali da parte dell'amministrazione trova un limite invalicabile sul piano funzionale dell'autonomia nell'esercizio dell'attività professionale; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, n. 138/2012).

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