Contenzioso

Se si guarisce prima del termine si deve tornare al lavoro

di Massimiliano Biolchini e Cristina Brevi

È legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che, in malattia per un infortunio alla caviglia, viene sorpreso a lavorare nell’azienda di famiglia nonostante fosse già completamente guarito. Così si è pronunciata la Cassazione, con sentenza n. 3630 del 10 febbraio 2017, compiendo un significativo passo in avanti rispetto all’orientamento prevalente sul punto.

Nel caso di specie il lavoratore era stato ripreso da un investigatore privato mentre aiutava la moglie nella rosticceria di quest’ultima, riscaldando e vendendo i prodotti, facendo le pulizie e persino scaricando la legna. Il datore aveva quindi avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti, contestando lo svolgimento di attività extra-lavorativa durante il periodo di malattia; in seguito, nonostante il lavoratore avesse negato tali accadimenti durante la fase delle giustificazioni, la società gli aveva intimato il licenziamento.

Sulla questione della sanzione applicabile al dipendente che svolga attività presso terzi durante la malattia lo stato dell’arte prevede che la stessa possa giustificare il recesso datoriale in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, ma solo qualora tale attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e, quindi, il rientro in servizio del dipendente (da ultimo, Cassazione 18507/2016).

La Corte d’appello, ribaltando la sentenza del tribunale che aveva invalidato il licenziamento, ha ritenuto di dover effettuare una valutazione complessiva della situazione di fatto, valorizzando, in particolare, la perizia medica d’ufficio svolta in primo grado, dalla quale emergeva che il lavoratore, nei giorni in cui aveva lavorato per la moglie, era completamente guarito e, pertanto, nuovamente in grado di svolgere le proprie mansioni. Per il giudice di secondo grado, se da un lato è vero che questo accertamento permette di escludere a priori che lo svolgimento dell’attività extra-lavorativa avesse inciso sullo stato di salute del dipendente, è altresì da considerare che in quelle giornate contestate quest’ultimo avrebbe dovuto fornire la prestazione lavorativa al datore. Infatti l’indicazione del periodo di riposo prescritto nel certificato di malattia ha solo una valenza prognostica e non legittima il lavoratore guarito prima del termine a non rientrare al lavoro.

Il comportamento del dipendente, in violazione dell’obbligo di diligenza previsto dall’articolo 2104 del codice civile, è da ritenersi grave, in quanto incide sul dovere primario dello stesso di svolgere la propria prestazione lavorativa, e lesivo del vincolo fiduciario, visto il suo carattere doloso derivante dalla negazione opposta durante il procedimento disciplinare.

La Cassazione conferma il ragionamento del giudice di appello, ribadendo la correttezza della scelta di considerare la condotta del lavoratore nel suo complesso, «senza limitarsi alla sola considerazione dell’incidenza dell’attività lavorativa sui tempi di guarigione». Quanto, invece, al diverso motivo di ricorso relativo all’impossibilità di svolgere controlli difensivi tramite un investigatore privato, la Corte si limita a ribadire l’orientamento per cui tali verifiche sono legittime «anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione».

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