Contenzioso

La denuncia alla Procura non giustifica il licenziamento

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente, l’esercizio del potere di denuncia alla Procura della Repubblica o all’autorità amministrativa non può determinare, di per sé, una responsabilità disciplinare in capo al dipendente, a meno che il ricorso ai pubblici poteri sia intervenuto in modo strumentale, nella piena consapevolezza della insussistenza dell’illecito o della estraneità del soggetto incolpato.

La Corte di cassazione ( sentenza 4125/2017 ) ha raggiunto questa conclusione sul presupposto che, ascrivendo al lavoratore una responsabilità disciplinare per aver denunciato fatti di rilievo penale o amministrativo dal medesimo riscontrati in costanza di rapporto, verrebbe sostanzialmente scoraggiata la collaborazione cui il cittadino è tenuto nel superiore interesse pubblico volto alla repressione degli illeciti. La valorizzazione di superiori interessi pubblici porta a escludere, ad avviso della Corte, che la denuncia all’autorità giudiziaria di azioni suscettibili di integrare l’ipotesi di reato, quand’anche riconducibili al rapporto di lavoro, possa giustificare, per ciò stesso, un licenziamento in tronco.

Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte è relativo al licenziamento per giusta causa del dipendente di una azienda del settore alimentare che ha denunciato il ricorso illegittimo da parte dell’impresa alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la violazione della disciplina sul lavoro straordinario e sulla intermediazione di manodopera e, inoltre, l’utilizzo illecito di fondi pubblici.

Le indagini preliminari avviate dalla Procura e l’ispezione amministrativa si sono poi concluse escludendo la sussistenza degli illeciti denunciati. Il datore di lavoro ha, quindi, licenziato il dipendente, che però ha impugnato il provvedimento davanti al tribunale.

In primo e secondo grado il licenziamento è stato ritenuto valido, ritenendo che il dipendente abbia travalicato l’esercizio del diritto di critica, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva con un comportamento foriero di possibili conseguenze lesive dell’immagine e del decoro del datore di lavoro.

La Cassazione ribalta questa prospettiva e afferma che la denuncia di fatti aventi potenziale rilievo penale accaduti in ambito aziendale non ha rilievo disciplinare, a meno che non emerga che il lavoratore abbia agito nella consapevolezza della falsità della propria denuncia e, quindi, con finalità di calunnia del datore di lavoro.

La circostanza che le indagini in sede penale e amministrativa siano state definite con un provvedimento di archiviazione non è idonea da sola, per la Cassazione, a fondare la responsabilità disciplinare del lavoratore. Se il dipendente ha sollecitato l’intervento dell’autorità giudiziaria, infatti, nella convinzione che azioni illecite erano consumate all’interno dell’azienda, sono da escludere la violazione dell’obbligo di fedeltà e dei canoni generali di correttezza e buona fede, in quanto l’agire del lavoratore rientra nel valore civico e sociale che l’ordinamento riconosce all’iniziativa del privato cittadino che si attiva per segnalare il compimento di azioni delittuose.

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