Contenzioso

No al doppio periodo di prova per lo stesso contratto

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli

Niente patto di prova quale condizione per la riammissione in servizio. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 3469/2017.
Un lavoratore, originariamente impiegato con contratto di somministrazione presso la sede di Palermo di una società, ha ottenuto in via giudiziale l'accertamento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, e l'ordine di riammissione in servizio presso la sede di Verona, poiché nel frattempo la dipendenza di Palermo era stata dismessa.
Malgrado l'ordine di riammissione conseguente all'illegittimo ricorso al lavoro somministrato, una volta in sede il lavoratore si è visto richiedere di sottoscrivere un nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel quale era stato inserito un patto di prova di tre mesi, con previsione di libera recedibilità nel corrispondente periodo. Il lavoratore, che si era rifiutato di sottoscrivere il contratto ed era quindi stato invitato ad allontanarsi, aveva dapprima contestato la legittimità del comportamento aziendale, e successivamente manifestato la propria disponibilità a riprendere servizio. La società, però, gli ha comunque contestato l'assenza ingiustificata in quegli stessi giorni e irrogato il licenziamento.
Già in sede di appello, i giudici hanno statuito che nel caso specifico il patto di prova non potesse essere introdotto, trattandosi di rapporto di lavoro che era già stato ripristinato per effetto dell'intervenuto giudicato di riammissione in servizio, e che la reazione del dipendente era quindi da considerarsi legittimo esercizio dell'eccezione di inadempimento, così da rendere ingiustificato il licenziamento che ne era conseguito.
La società ha presentato ricorso in Cassazione e la Corte, con decisione conforme a quella dei giudici di merito, ha ritenuto che il licenziamento fosse illegittimo e l'inadempimento del dipendente invece giustificato, perché determinato dall'illegittimo rifiuto della società di accettare la sua prestazione in difetto della sottoscrizione della clausola di prova, che ne pregiudicava il diritto al ripristino del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Secondo la Cassazione, poiché il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti a sperimentare la convenienza del rapporto di lavoro che si intende instaurare, consentendo il recesso ad nutum qualora l'esperimento abbia dato esito negativo, “ove il rapporto di lavoro si sia già consolidato a tempo indeterminato, la verifica preliminare non ha più ragione di essere compiuta; la clausola di prova non può quindi più essere apposta, neppure se al lavoratore vengano assegnate mansioni diverse da quelle di assunzione, in quanto in tal modo se ne snaturerebbe la causa e si eluderebbe la disciplina limitativa del licenziamento applicabile al rapporto”.
La Corte, quindi, dando continuità a precedenti pronunce sul punto (15059/2015 e 10440/2012), ha ribadito come la possibilità di introdurre il patto di prova nell'ambito di un rapporto di lavoro già instaurato a tempo indeterminato sia sempre esclusa, essendo ammessa tra le stesse parti “solo nel caso di contratti di lavoro diversi e successivi, e solo a condizione che vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare elementi sopravvenuti e/o ulteriori rispetto alla valutazione già compiuta”.

La sentenza 3469/2017

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