Contenzioso

L’amministratore di società non è un parasubordinato

di Franco Toffoletto

Il rapporto che intercorre tra un amministratore e la società non è caratterizzato dal coordinamento e pertanto non può essere compreso tra i cosiddetti contratti di lavoro parasubordinato. Questo, in estrema sintesi, il principio contenuto nell’importante sentenza 1545/2017 della Corte di cassazione a sezioni unite (si veda anche Il Sole 24 Ore del 21 gennaio) che ribalta completamente la pronuncia precedente delle stesse sezioni unite del 1994.

La decisione è più che condivisibile. Nella motivazione si legge che il mutato assetto normativo sviluppatosi dal 2003 in poi impone «un radicale ripensamento rispetto alla decisione del 1994 ed alle conseguenze che ne sono derivate e ne derivano trasversalmente in vasti campi dell’ordinamento».

Come affermato da ampia parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, il rapporto tra amministratore e società non sarebbe un rapporto contrattuale ma un rapporto organico nel quale manca ogni dualità, configurandosi invece un’immedesimazione dell’organo nella persona giuridica che rappresenta, senza possibilità di un regolamento negoziale interno, fonte di reciproci diritti ed obblighi. Gli amministratori infatti sono un organo necessario per l’operatività della società, secondo una precisa scelta del legislatore che ne ha regolato la struttura in modo tale da escludere che il loro rapporto possa operare secondo le regole della rappresentanza ordinaria. Quindi – prosegue la Corte - «la configurazione non contrattuale del rapporto società–amministratori incide sulla ricostruzione della fonte dei loro poteri: gli amministratori sono titolari di poteri gestori in via originaria, in quanto organi necessari per il funzionamento e la realizzazione del contratto sociale, analogamente ai poteri dell'assemblea dei soci, con cui vi sarebbe una semplice convivenza, senza alcuna possibilità di sovrapposizione o limitazione». I poteri degli amministratori, quindi, derivano soltanto dalla legge e sono autonomi, non avocabili nè disponibili nè limitabili ad opera dell'assemblea dei soci a cui spetta solo di designare il titolare di prerogative gestorie già determinate (o di revocarlo).

Ne deriva – e qui sta il punto fondamentale - «l’inesistenza di due contrapposti ed autonomi centri di interesse tra i quali instaurare non solo un rapporto contrattuale ma un qualsiasi rapporto intersoggettivo, data l’impossibilità di una diversificazione di posizioni contrapposte e l’inesistenza di separazione tra funzione gestoria e funzione sottoponibile a verifica, controllo e disciplina».

Proprio questo aspetto, cioè il rapporto tra assemblea e amministratori, conduce la Suprema corte a escludere che nella fattispecie ricorra il carattere del «coordinamento», essenziale per configurare la fattispecie prevista dall’articolo 409 del codice di procedura civile (e quindi anche la competenza del giudice del lavoro nelle relative controversie). Osserva correttamente la Corte: «... il coordinamento (...) deve essere inteso in senso verticale, ossia deve rappresentarsi come una situazione per cui il prestatore d’opera parasubordinata è soggetto ad un coordinamento che fa capo ad altri, in un rapporto che deve presentare connotati simili a quelli del rapporto gerarchico propriamente subordinato ... l’attività coordinata è sinonimo di attività in qualche misura eterodiretta o, comunque, soggetta ad ingerenze o direttive altrui».

E ciò non è configurabile nell’attività dell’amministratore che è – come espressamente lo definisce la Corte «il vero egemone dell’ente sociale», come risulta sia dall’articolo 2380 bis del codice civile, che gli attribuisce la gestione dell’impresa in via esclusiva, che dalla previsione dell’articolo 2365, numero 5, dello stesso codice per il quale la competenza dell’assemblea ha carattere delimitato e specifico, mentre quella degli amministratori ha carattere generale e sussiste per tutti gli atti dell’impresa (non riservati all’assemblea), per il conseguimento dell’oggetto sociale. Quindi l’attività dell’amministratore non può, per sua natura, essere coordinata da alcuno.

La pronuncia avrà notevole impatti pratici e processuali e farà venire meno definitivamente la prassi, di origine anglosassone, dei cosiddetti “contratti di amministratore”, la cui redazione, oggi più di prima, è assolutamente e sempre da evitare.

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