Contenzioso

La collocazione in ferie durante il preavviso giustifica le dimissioni per giusta causa

di Angelo Zambelli

Con la sentenza n. 985 del 17 gennaio 2017 la Corte di cassazione si pronuncia in merito alla prassi, invalsa tra alcuni datori di lavoro, di collocare in ferie il dipendente dimissionario, così da non dovergli corrispondere o potergli diminuire, all'atto della liquidazione delle competenze di fine rapporto, l'indennità dovuta per le ferie maturate e non ancora godute.

La controversia nasce in seguito alle dimissioni rassegnate dal dirigente di un istituto bancario, offertosi di prestare servizio durante i tre mesi del preavviso contrattualmente dovuto. Accadeva infatti che il datore di lavoro, ricevuta la lettera di dimissioni, ordinava al dipendente di assentarsi dal servizio fino alla scadenza del preavviso, così da esaurire i giorni di ferie maturati e non ancora goduti.

Ritenendo illegittimo il comportamento della banca, il dirigente recedeva con effetto immediato e chiedeva al datore di lavoro il pagamento, ex articolo 2119 del codice civile, dell'indennità sostitutiva del preavviso non lavorato.

Conclusi il primo grado di giudizio con esito favorevole al lavoratore e il grado di appello con sentenza dichiarativa dell'insussistenza di una giusta causa di dimissioni, la vertenza veniva portata all'attenzione della Cassazione.

Il dato normativo da cui muovere per comprendere la controversia è l'ultimo comma dell'articolo 2109 del codice civile, la cui lettera espressamente dispone che «non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso».

Nella ricostruzione operata dai giudici di legittimità tale precetto comporta che solamente nel caso in cui il dipendente venga esonerato dal rendere la prestazione lavorativa durante il preavviso, il diritto alle ferie «verrebbe a mutarsi» in quello alla relativa indennità sostitutiva.

Qualora invece il lavoratore resti in servizio nel periodo di preavviso, durante il suo decorso proseguono gli effetti del contratto di lavoro «e, tra essi, il diritto del lavoratore di godere delle ferie e la maturazione del diritto al numero proporzionalmente correlato di giorni di ferie, sicché lo spostamento del termine finale del preavviso avviene ope legis».

Finché vi è prestazione lavorativa, insomma, è da ritenersi legittima la «facoltà del datore di lavoro, nell'ambito dei suoi poteri gestori e organizzativi del rapporto di lavoro in prosecuzione, di collocare in ferie il lavoratore che renda la prestazione durante il preavviso conseguente al recesso: con il limite di evitare la sovrapposizione dei due periodi, vietata dall'articolo 2109, ultimo comma del codice civile».

Ma è proprio questo limite che, nel caso in esame, è stato illegittimamente superato dalla banca datrice di lavoro in violazione della norma appena citata.

Conclude quindi la Corte stabilendo che «sussiste giusta causa di recesso nel caso del lavoratore che, avendo scelto di prestare la propria attività durante il periodo di preavviso, sia posto dal datore in ferie per il godimento di quelle non ancora fruite, con sovrapposizione di queste al periodo di preavviso».

La sentenza n. 985/17 della Corte di cassazione

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