Contenzioso

Attività commerciale e soci di società personali

di Silvano Imbriaci

Con una serie di recentissime sentenze la Sezione Lavoro della Cassazione precisa in modo sempre più definito quali siano gli estremi e i presupposti per la ricorrenza dell'obbligo di iscrizione alla gestione “speciale” dei commercianti (con relativo obbligo contributivo) presso l'Inps, dei soci di società di persone all'interno di società commerciali.

Le vicende che da ultimo hanno sollecitato questi interventi riguardano per lo più la diffusa questione dell'attività e del ruolo dei soci di società di gestione di immobili, sia che abbiano ad oggetto effettive attività di intermediazione immobiliare, sia che risultino finalizzate più semplicemente alla semplice riscossione di canoni di locazione.

Nella sentenza della Corte di cassazione n. 297/2017, la controversia riguarda l'iscrizione d'ufficio di un socio accomandatario, legale rappresentante di una società intestataria di un contratto di leasing di un immobile. Secondo la Corte sono due le norme da prendere in considerazione: l'articolo 3 della legge n. 45/1986, che allarga la tutela assicurativa ai soci di società in nome collettivo o in accomandita semplice che svolgano attività autonome e che si trovano a gestire imprese organizzate prevalentemente con il lavoro dei soci e degli eventuali familiari coadiutori; l'articolo 1, comma 203, della legge n. 662/1996, che specifica quali debbano essere i requisiti per l'iscrizione alla gestione esercenti attività commerciali di cui alla legge n. 613/1966, ossia la titolarità dell'impresa, la relativa responsabilità (tranne che nel caso di soci di srl), la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza e il possesso di licenze ed autorizzazioni (quando richiesto). Per quanto riguarda nello specifico i soci di società di persone, dunque, non è sufficiente il requisito della responsabilità illimitata ma è richiesta, soprattutto, la partecipazione diretta al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente. Tale partecipazione deve sostanziarsi in un comportamento attivo e “misurabile”; non può infatti derivare dalla semplice qualità di socio responsabile (in questo caso accomandatario), perché un conto è il profilo interno, del funzionamento della società (cfr. articolo 1, legge n. 1397/1960), altro è quello dell'attività commerciale vera e propria, che non necessariamente è legata al ruolo di legale rappresentante o comunque di responsabile della società stessa (può infatti essere affidata a terzi, o a dipendenti). Non ha rilievo, sotto questo profilo, neanche l’astratta compatibilità dell'iscrizione alla gestione commercianti con l'iscrizione, ad esempio per l'attività di amministratore, ad altra gestione diversa da quelle previste per l'attività autonome (artigiani e coltivatori diretti). L'attività deve essere verificata in sé, e non solo deve sussistere, come si è detto, ma deve essere svolta con i requisiti dell'abitualità e prevalenza. È infatti proprio l'espletamento di attività lavorativa abituale, sia pure di tipo non subordinato, la circostanza che ha spinto il legislatore ad approntare una tutela a tali lavoratori, di tipo speculare rispetto a quella dei lavoratori dipendenti, in quanto entrambe le categorie, all'interno dell'impresa, sono sullo stesso piano quanto all'impegno personale finalizzato allo svolgimento dell'attività commerciale. Naturalmente la verifica di questi requisiti non è immediata, ed è questione che varia di caso in caso. Tuttavia la Corte fornisce alcune preziose indicazioni, come il fatto che abitualità e prevalenza debbano essere riferiti ad un limite (sia pure non predeterminato) di tempo e di reddito, da accertarsi in senso relativo, con riferimento alle attività esercitate dal singolo e non con riferimento agli altri fattori produttivi dell'impresa. Laddove, ad esempio, la società sia priva di dipendenti, in assenza di altri collaboratori e sia certo lo svolgimento di attività commerciale, la Corte ammette che si possano considerare dimostrati i presupposti (cfr. Cass. n. 845/2010); generalmente, tuttavia, al di là di questi casi, elemento essenziale è il coinvolgimento diretto del socio, che, nel caso di specie, è stato ritenuto discutibile essendo la società esclusivamente creata per permettere l'intestazione di un contratto di leasing di un immobile con destinazione a studio professionale. La giurisprudenza della Corte, sotto questa luce, non si pone il problema delle motivazioni economiche alla base della scelta della struttura societaria più idonea (anche da un punto di vista fiscale) alla gestione di certe attività (in altri termini, non interessa il motivo per cui sia utilizzata una società commerciale per il semplice godimento di beni). Interessa semmai valorizzare gli indizi utili a rintracciare gli estremi di una attività commerciale abituale e prevalente svolta dal socio, anche se tali elementi possono non rivelarsi esaustivi: la mancanza di dipendenti, il mancato svolgimento da parte del soggetto interessato di altre attività lavorative esterne, il mancato svolgimento di atti di gestione da parte di altri soci e la consistenza commerciale dell'attività (ad esempio, la mera riscossione di canoni locatizi non costituisce secondo la Cassazione attività d'impresa, fino al limite dell'intermediazione immobiliare: cfr. Cass. n. 845/2010; ord. n. 3145/2013; da ultimo Cass. n. 298/2017).

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