Contenzioso

Risarcimento del danno da licenziamento inefficace e responsabilità del socio accomandante

di Silvano Imbriaci

La Sezione Lavoro della Cassazione n. 11250 del 2016 esplora i limiti della responsabilità del socio accomandante con riferimento alle obbligazioni sociali e alla violazione del divieto, posto in via ordinaria dall'art. 2320 c.c., di compiere atti di amministrazione o trattare o concludere affari in nome della società, al netto di singole procure speciali rilasciate a tal fine (la procura deve essere necessariamente speciale, in quanto una procura generale di fatto comporta l'attribuzione all'accomandante degli stessi poteri dell'accomandatario: cfr. Cass. n. 11973/2010). Posto che la violazione di tale divieto comporta la responsabilità illimitata e solidale del socio accomandante verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali, la vicenda in questione riguarda la responsabilità del socio accomandante in caso di dichiarazione di inefficacia di licenziamento orale e condanna al risarcimento dei danni conseguenti a favore del lavoratore dipendente di una società in accomandita semplice.
Per poter giungere ad una valutazione della violazione del divieto di ingerenza, la Cassazione deve verificare la riconducibilità al socio accomandante di una qualche forma di attività gestoria.
Gli accomandanti, infatti, per definizione sono esclusi dall'amministrazione della società e sono responsabili solo nei limiti della quota conferita solo fino al momento in cui non pongano in essere (in violazione del divieto di cui al II comma dell'art. 2320 c.c.) attività che costituisce, per la sua rilevanza, espressione di un potere di amministrazione e direzione degli affari sociali, tipica del titolare dell'impresa.
Si tratta chiaramente di una disposizione finalizzata ad associare la responsabilità all'amministrazione della società e quindi ad una migliore gestione della stessa anche nei rapporti commerciali con i terzi. La dottrina ha comunque sempre interpretato restrittivamente il concetto di ingerenza e anche la giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto di dover distinguere tra attività posta in essere al momento genetico del rapporto (momento in cui si evidenzia la scelta imprenditoriale) e attività meramente esecutiva delle obbligazioni derivanti da quel tipo di rapporto.
In questo secondo caso non può ritenersi violato il divieto di ingerenza, nel senso che non può parlarsi di direzione degli affari sociali. In altre parole, solo nel caso in cui l'accomandante ponga in essere veri e propri atti di amministrazione, intesi come atti di gestione aventi influenza sull'amministrazione della società, può parlarsi di effettiva ingerenza nell'attività gestoria, mentre negli altri casi l'ambito è quello di attività esecutive, conseguenti a scelta a monte già effettuate dall'imprenditore o dal titolare. Dunque, ai fini della individuazione di questo tipo di attività, non è sufficiente la mera presenza del socio accomandante all'interno del luogo in cui si svolge l'attività aziendale (l'esempio più tipico è quello della rivendita commerciale), anche se finalizzata alla cogestione dell'amministrazione sociale. Occorre che sia esaminata in concreto anche la natura dell'attività esercitata, valutandone l'attinenza a quei profili di amministrazione, decisivi e rilevanti all'interno e all'esterno, tali da integrarne gli estremi di una vera e propria attività gestoria. Ciò accade ad esempio nel caso in cui il socio accomandante emetta assegni bancari tratti sul conto della società all'ordine di terzi, apponendovi la propria firma sotto il nome della società e per conto della stessa (in difetto della prova della sussistenza di una mera delega di cassa: cfr. Cass. n. 23651/2014), mentre non costituisce ingerenza la prestazione di una garanzia in favore della società o il prelievo di fondi dalle casse sociali per esigenze personali (cfr. Cass. n. 13468/2010). Le conseguenze della violazione del divieto sono assai rilevanti anche sotto il profilo fallimentare. Infatti secondo l'art. 147 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, l'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili si riferisce non soltanto ai soci illimitatamente responsabili per contratto sociale, ma anche a quegli altri soci che, pur non essendo tenuti per contratto sociale a rispondere illimitatamente, abbiano assunto responsabilità illimitata e solidale verso i terzi in tutte le obbligazioni sociali, e, pertanto, il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società stessa (cfr. Cass. n. 4270/1999).

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