Contenzioso

Per la «reversibilità» il diritto di abitazione non equivale all’assegno di divorzio

di Silvano Imbriaci

Nell'esame dei requisiti di legge per l'accesso al trattamento di reversibilità, alcune questioni peculiari si pongono nel caso di coniuge divorziato, nell'interpretazione dell'art. 9, comma 2 della legge 898/1970 (come modificato dall'articolo 13 della legge 74/1987), norma che attribuisce al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio il diritto alla pensione di reversibilità se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5 della stessa legge.
Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione, Sez. lavoro, 5 maggio 2016, n. 9054, la rivendicazione del diritto alla reversibilità muove dalla titolarità a favore del coniuge divorziato di un diritto di abitazione sull'appartamento di proprietà e di comodato sui mobili esistenti, ottenuto contestualmente alla rinuncia all'assegno di mantenimento già previsto in sede di separazione.

Può questo diritto dirsi equipollente o alternativo all'assegno divorzile, così da permettere il conseguimento della reversibilità?

Posto che la titolarità dell'assegno di divorzio deve valutarsi in concreto (provvedimento formale di riconoscimento: cfr. art. 5, l. n. 263/2005), la Cassazione ha da sempre ritenuto che non sia sufficiente per l'attribuzione della pensione di reversibilità (o il concorso ad una quota di essa con l'eventuale coniuge superstite) l'astratta ricorrenza delle condizioni per il conseguimento dell'assegno o la presenza di convenzioni tra coniugi in tal senso prima del decesso. L'esigenza di un provvedimento giudiziale di riconoscimento dell'assegno è strettamente collegata, infatti, alla natura della pensione di reversibilità, provvidenza che garantisce una sorta di continuità nel sostentamento assicurato dall'assegno divorzile versato in vita. Vero è che in sede di scioglimento del matrimonio, le parti possono accordarsi con diverse modalità quanto ai loro rapporti economici, anche immaginando, ad esempio, la corresponsione dell'assegno divorzile in unica soluzione, con lo scopo di definire una volta per tutte le questioni patrimoniali (al netto del controllo di congruità effettuato dal Giudice), rendendole impermeabili ad eventi o circostanze sopravvenute. In questa prospettiva, la Cassazione aveva già precisato (Cass. n. 10458/2002) che la pensione di reversibilità riconosce all'ex coniuge titolare di assegno un diritto che trova il suo fondamento nell'esigenza di assicurare in modo continuativo mezzi economici adeguati per il futuro. In questa prospettiva, non appare conforme a tale ratio la regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio che preveda la corresponsione di una somma una tantum, in quanto tale soluzione ha un carattere di definitività che è sconosciuto all'altra forma di soddisfazione delle pretese economiche.

Su questa falsariga si pone dunque la questione della costituzione o trasferimento di un diritto in luogo del versamento periodico di una somma di denaro. A dire il vero in alcuni precedenti la Cassazione (cfr. Cass. n. 13108/2010; n. 17018/2003) si era pronunciata nel senso dell'equivalenza tra le due forme di trattamento, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede o a seguito dello scioglimento del vincolo coniugale; ma a questo orientamento se ne era affiancato un altro (Cass. n. 3635/2012), ritenendo la Corte che la soluzione opposta fosse più conforme alla ratio dell'istituto dell'assegno divorzile e quindi della reversibilità. In particolare, nella funzione solidaristico-assistenziale che assume la “continuazione” del trattamento divorzile, secondo questa tesi, deve essere valorizzata la titolarità attuale dell'assegno al momento del decesso, perché solo in questa evenienza è possibile continuare ad assicurare il sostentamento economico prima assicurato dall'assegno periodico di divorzio. Quando invece le pretese economiche a favore del coniuge divorziato siano soddisfatte in un'unica soluzione, sulla base dell'accordo tra i coniugi e anche di una valutazione giudiziale di congruità in cui abbia una qualche rilevanza la tutela del destinatario del pagamento e l'accertamento delle capacità economiche di ciascuno dei due, le ragioni alla base della corresponsione continuativa dell'assegno sono superate a favore di una definizione tombale dei rapporti economici, incompatibile, anche logicamente, con la necessità di assicurare all'ex coniuge sopravvissuto una pensione di reversibilità periodica (cfr. anche Cass. ord. n. 26168/2015). Pertanto, la costituzione di un diritto a favore dell'ex coniuge come l'abitazione della casa coniugale o il comodato di arredi e mobili, in funzione della regolamentazione definitiva dei loro rapporti patrimoniali, ritenuto congruo dal Tribunale, esclude per il futuro ogni obbligo di sostentamento nei confronti del coniuge beneficiario, e quindi anche l'eventuale trattamento di reversibilità (integrale o in concorso con il coniuge superstite).

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