Contenzioso

Per i collaboratori stessi livelli di sicurezza dei dipendenti

di Massimiliano Biolchini e Lorenzo Zanotti

La Corte di cassazione, in aperto contrasto con il proprio precedente orientamento, con la sentenza 24538/2015 ha affermato che l'obbligo dell'imprenditore di predisporre un ambiente di lavoro salubre e sicuro si applica non solo ai lavoratori subordinati, ma anche ai collaboratori coordinati che prestano attività all'interno dell'azienda.
Tale principio, secondo la Corte, può essere ritenuto valido anche a seguito dell'entrata in vigore del Dlgs 81/2015, che, in attuazione del Jobs act, ha abrogato il lavoro a progetto (salvo che per i rapporti già in corso) e, con esso, la disposizione che prevedeva l'estensione a tali lavoratori delle norme in materia di salute e sicurezza (articolo 66, comma 4, del Dlgs 276/2003).
Il caso sottoposto al giudizio della Cassazione riguarda, in particolare, la richiesta avanzata nei confronti dell'Asl da parte di un medico specialista ambulatoriale, operante in regime di parasubordinazione, il quale, lamentando di essere stato vittima di condotte mobbizzanti, ha chiesto il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, in applicazione dell'articolo 2087 del Codice civile (norma che impone all'imprenditore di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro).
La domanda del medico è stata accolta in primo grado, per poi essere rigettata in appello, fermo restando che entrambe le corti di merito hanno escluso l'applicabilità dell'articolo 2087 alla caso in esame, stante la natura autonoma - per quanto parasubordinata - del rapporto.
La Suprema corte ha in passato più volte affermato che l'obbligo di tutela del prestatore di lavoro previsto dall'articolo 2087 del codice civile riguarderebbe esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato, presupponendo l'inserimento organico del prestatore di lavoro all'interno dell'impresa.
In altri precedenti (tra cui Cassazione penale 35534/2015), si legge invece che la predisposizione di un ambiente salubre ed esente da rischi costituisce a carico dell'imprenditore un obbligo fonte di potenziale responsabilità civile (di natura contrattuale) e penale, con riguardo a tutti casi in cui l'esecuzione del contratto (di appalto, d'opera, di collaborazione coordinata e continuativa) si svolga all'interno dell'impresa (committente).
È a tale secondo orientamento che la Corte mostra di volersi allineare con la sentenza 24538/2015. I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato come, a seguito dell'attuazione del Jobs act, la gran parte delle collaborazioni che sino al 31 dicembre 2015 sono state svolte in regime di parasubordinazione (fatti salvi i contratti a progetto già in essere, che andranno progressivamente ad esaurirsi) diverranno soggette alla disciplina del lavoro subordinato - inclusa, quindi, la normativa prevenzionistica - allorquando si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e luogo di lavoro.
In tutti gli altri casi, l'obbligo di tutela deve comunque desumersi dal principio fondamentale dell'ordinamento, di rango sia costituzionale (articolo 32 della Costituzione) che comunitario, della tutela del diritto alla salute quale bene primario anche nel contesto lavorativo.
In definitiva, dunque, anche i lavoratori autonomi e parasubordinati hanno diritto, quando lavorano direttamente all'interno dell'impresa che riceve la prestazione, ad essere tutelati nella loro integrità psicofisica e, in caso contrario, potranno agire nei confronti del committente con azione di responsabilità contrattuale in base all'articolo 2087 del Codice civile.
La Suprema corte aggiunge così un altro importante tassello, nell'alveo del Jobs act, nel senso di una progressiva parificazione tra lavoro subordinato e parasubordinato.

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