Contenzioso

Domanda all’Inps per il rimborso della maxisanzione

di Silvano Imbriaci

Il mancato pagamento di contributi alle scadenze di legge comporta l'applicazione automatica delle sanzioni civili, somme “aggiuntive” aventi in sostanza la stessa natura dei contributi, e comminate allo scopo di rafforzare l'obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, il danno cagionato all'istituto assicuratore (diverse sono le sanzioni amministrative che colpiscono comportamenti illeciti del datore di lavoro).

La disciplina, nel corso del tempo, si è più volte modificata, fino ad assestarsi nelle disposizioni contenute nell'articolo 116, comma 8, della legge 388/2000. La norma riproduce la distinzione tra omissione ed evasione contributiva, a seconda che, rispettivamente, il mancato adempimento derivi dal contenuto di denunce o registrazioni obbligatorie, oppure riguardi lavoratori per i quali non vi è stata né denuncia né registrazione, peraltro accompagnata dall'intenzione specifica di occultare i rapporti di lavoro.

La fattispecie dell'evasione è stata confermata anche nelle ipotesi di presenza di lavoratori subordinati in nero (articolo 1, legge 73/2002 di conversione del decreto legge 12/2002). È successivamente intervenuto l'articolo 36 bis, comma 7, lettera a) del decreto legge 223/2006 che, per il caso di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione in possesso del datore di lavoro, ha previsto delle sanzioni amministrative e civili comunque severe: da 1.500,00 a 12.000,00 euro per lavoratore, con l'aggiunta di 150,00 euro per ciascuna giornata di lavoro a titolo di sanzione amministrativa, mentre, per quanto riguarda le sanzioni civili, la previsione di un importo non inferiore a 3.000,00 euro, a titolo di evasione contributiva nei confronti di ciascun ente previdenziale, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

La sanzione civile, dunque, nella migliore delle ipotesi, imponeva il pagamento di 3.000 euro, anche per pochi giorni di svolgimento dell'attività lavorativa (per esempio anche in caso di prova non dichiarata). Dopo qualche anno, l'articolo 4, comma 1, lettera a) della legge 183/2010, venendo incontro alle richieste di una mitigazione delle sanzioni previste per il lavoro nero, per quanto riguarda le sanzioni civili, ha pertanto eliminato il riferimento alla soglia minima di 3.000 euro, sostituendola con l'applicazione di un aumento del 50% delle sanzioni determinate in base al criterio dell'evasione contributiva. Infine, da ultimo, tale maggiorazione è stata definitivamente abolita dall'articolo 22 del decreto legislativo 151/2015. In totale dunque la maxisanzione pari a 3.000 euro ha avuto concreta applicazione per gli inadempimenti situati tra il 12 agosto 2006 e il 23 novembre 2010.

Su questo quadro normativo (al solito, poco lineare) è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza 254 del 13 novembre 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 36 bis, sotto il profilo, in particolare, della mancata proporzione della sanzione rispetto alla effettiva gravità dell'inadempimento (violazione dell’articolo 3 della Costituzione). Di fatto, dunque, ciò ha impedito l'applicazione della norma anche nel periodo in cui è stata effettivamente in vigore; nei casi di evasione situati in quell'arco temporale doveva trovare infatti applicazione la previgente disciplina (30% annuo nel tetto massimo del 60% dell'importo dei contributi non versati).

La scomparsa dal mondo giuridico della norma per effetto dell'intervento della Corte costituzionale ha dunque imposto all'Inps il riesame delle situazioni nelle quali la sanzione era stata applicata, con l'unico limite dei rapporti ormai esauriti, ossia consolidatisi o per intervenuta pronuncia giudiziale in giudicato, o per inoppugnabilità del provvedimento amministrativo, oppure per intervento di decadenza e/o di prescrizione (che in ambito contributivo, come è noto, sono sottratti alla disponibilità delle parti). Con il messaggio 7280/2015, per la verità con un certo ritardo rispetto al mutato quadro normativo per effetto dell'intervento della Corte costituzionale, l'Inps fornisce alcune istruzioni in merito alle modalità di rimborso delle somme eventualmente riscosse a titolo di sanzione in base all’articolo 36 bis.

Al netto del calcolo della differenza tra quanto versato e quanto dovuto, i datori di lavoro che hanno diritto al rimborso potranno inviare all'Inps una apposita domanda, in via telematica, precisando l'importo delle somme indebitamente versate. La valutazione che compirà l'ente previdenziale riguarderà la presenza di rapporti ormai consolidati. Pertanto non potranno essere accolte le istanze di rimborso per le quali sia scaduto già il termine di prescrizione decennale (il diritto al rimborso si prescrive in dieci anni), quelle per le quali risulti la condanna del richiedente al pagamento con sentenza passata in giudicato, oppure quelle contenute in cartelle di pagamento o avvisi di addebito regolarmente notificati e non opposti nei termini di legge (40 giorni per il merito o 20 giorni per i vizi formali in base all’articolo 617 del codice di procedura civile).

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