Contenzioso

Sì al licenziamento disciplinare del dipendente per consulenze in ufficio anche senza previa diffida

di Paola Rossi

Il licenziamento disciplinare del dipendente è legittimo anche senza essere stato proceduto dalla diffida a interrompere l'attività incompatibile con le funzioni pubbliche. Con questa affermazione la sezione Lavoro della Corte di cassazione nella sentenza n 617/2015, depositata ieri, ha respinto il ricorso del dipendente dell'Agenzia delle entrate che era stato licenziato per aver svolto un'attività di consulenza fiscale per accertati “sedici clienti”. Infatti, i giudici di legittimità hanno spiegato che in un caso come questo l'omissione della diffida non impedisce l'esercizio del potere disciplinare. E che, inoltre, l'addebito di un'attività di consulenza per un tal numero di persone è sufficiente a giustificare il giudizio di “gravità” da parte della pubblica amministrazione facendo venir meno quella necessaria fiducia nel proprio dipendente e aprendo la via all'esercizio del potere disciplinare.
Necessità o meno della “previa” diffida
L'ex dipendente alla base del ricorso in cassazione, aveva sostenuto l'errata applicazione della norma che disciplina l'istituto della diffida nei casi di incompatibilità prevista dall'articolo 63 del Dpr 3/1957. I giudici hanno respinto la doglianza perché il giudice di appello ha giustamente sostenuto che la procedura di diffida riguarda l'ipotesi di valutazione di incompatibilità tra la permanenza in servizio e lo svolgimento di attività non consentite ed è invece estranea al caso di una contestazione avente natura essenzialmente disciplinare.
La vicenda disciplinare e la condanna
La sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa in questo caso è stata fondata sulla circostanza obiettiva che il dipendente aveva subito una condanna per concussione essendo stato ripreso dalle telecamere interne agli uffici mentre riceveva una somma di denaro a fronte di chiarimenti e informazioni su una pratica di condono fiscale. Il dipendente condannato aveva poi impugnato il licenziamento per la non corretta applicazione del regime delle incompatibilità. Ma la Corte ha ricordato che l'applicabilità ai dipendenti pubblici di tale regime è sì prevista dal testo unico del pubblico impiego ma non incide sulla disciplina delle sanzioni disciplinari regolate dal Testo unico.
Così la Corte ha confermato i due gradi di giudizio di merito contrari al ricorrente

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