Contenzioso

Omesso versamento di ritenute previdenziali: modalità di comunicazione dell’accertamento e ricorrenza della causa di non punibilità

di Silvano Imbriaci

Nel reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali (articolo 2 comma 1 bis, Dl 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638), affinché operi la specifica causa di non punibilità, rappresentata dall'avvenuto versamento di quanto omesso entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento e violazione, occorre stabilire con esattezza quando l'atto di accertamento sia da ritenersi conosciuto da parte dell'autore della violazione (il datore di lavoro).

Con la sentenza della III sezione penale n. 968, del 13 gennaio 2015, la Cassazione afferma il principio della generale libertà di forma nella comunicazione dell'accertamento, cosicché anche il mancato ritiro o la “compiuta giacenza” possono essere oggetto di valutazione per quanto riguarda la prova dell'avvenuta comunicazione.

Occorre premettere che sulla base delle conclusioni cui erano giunte le Sezioni Unite Penali con la sentenza n. 1855 del 24 novembre 2011, la giurisprudenza successiva aveva ritenuto applicabile il meccanismo di non punibilità solo a fronte di una sostanziale regolarità della contestazione o della notifica dell'accertamento delle violazioni. Spetta al Giudice, in ogni caso, la verifica di questa condizione, con eventuale rimessione in termini dell'imputato nel caso di esito negativo del controllo di regolarità, controllo che non deve limitarsi alle modalità di invio o di comunicazione della contestazione, ma deve riguardare anche la precisa indicazione del periodo cui si riferisce l'omesso versamento, l'importo esatto delle ritenute non versate e del versamento richiesto, l'indicazione della sede dell'ente presso la quale effettuare il pagamento e le relative modalità.

L'atto idoneo a far decorrere il termine trimestrale è dunque l'avviso di accertamento oppure, ove sia dimostrata l'omessa comunicazione di tale avviso, l'atto equipollente (che cioè contenga questi elementi) anche comunicato o notificato in un momento successivo, come ad esempio nel corso del procedimento giudiziario (ad esempio il decreto di citazione in giudizio contenente tali indicazioni). Quanto al tema specifico delle modalità di comunicazione o notificazione dell'avviso di accertamento, la Cassazione, secondo un orientamento confermato dalla sentenza 968/2015 (si veda, ad esempio, la Cassazione n. 12267/2013) esclude che la stessa debba presentare i requisiti della formale notificazione, potendo essere ritenuta valida anche la spedizione a mezzo raccomandata. Per la spedizione degli atti a mezzo raccomandata, in caso di mancato recapito dell'atto, l'articolo 40 del Dpr 655/1982 prevede un periodo di giacenza di trenta giorni, del quale viene data comunicazione ai destinatari e ai mittenti, se identificabili, prima della definitiva restituzione dell'atto al mittente. La comunicazione deve quindi ritenersi come validamente effettuata, con tutte le garanzie del caso, quando la compiuta giacenza sia attestata dall'ufficiale postale sulla cartolina relativa alla raccomandata; sotto questo profilo la Cassazione disattende quell'orientamento che invece non ritiene equiparabile la compiuta giacenza all'effettiva conoscenza, soprattutto quando in ballo ci siano effetti di rilevanza penale (l'applicazione del meccanismo dilatorio). Questa equiparazione invece sussiste, se non altro per il fatto che l'invio della raccomandata e la definizione della procedura che porta alla compiuta giacenza sono elementi che esauriscono gli oneri di corretta e diligente informazione richiesti all'ente previdenziale. Si tratta, in altre parole, di una presunzione di conoscenza, necessaria per la speditezza delle comunicazioni e che potrebbe essere vinta solo mediante la dimostrazione di un fatto idoneo ad interrompere, in modo duraturo e incolpevole, il collegamento tra il destinatario e il luogo di destinazione della comunicazione. Altrimenti, e con conseguenze del tutto paradossali, non volute dalla norma, si finirebbe per agevolare in modo ingiustificato il destinatario della comunicazione, il quale potrebbe con la semplice sua inerzia (il mancato ritiro del plico) ottenere un indebito vantaggio derivante dalla aver vanificato l'intera procedura di comunicazione e quindi dalla possibilità di usufruire in un momento successivo del termine trimestrale per il pagamento di quanto dovuto e la conseguente applicazione della causa di non punibilità.

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