Contenzioso

Lo straordinario forfettizzato può trasformarsi in superminimo

di Rossella Schiavone

Il lavoro straordinario, ai sensi dell’articolo 2108 del Codice civile, è costituito dalla prestazione effettuata oltre il normale orario di lavoro e va compensato con una maggiorazione.
Inoltre, ai sensi del comma 5, articolo 5, Dlgs 66/2003, il lavoro straordinario va computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro i quali possono, in ogni caso, consentire che, in alternativa o in aggiunta alle suddette maggiorazioni, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi.
Il superminimo individuale è, invece, un compenso che si aggiunge alla retribuzione prevista dal CCNL la cui erogazione è stabilita da accordi inseriti nei contratti individuali tra datore di lavoro e lavoratore in virtù di specifiche qualità del prestatore di lavoro o di particolari situazioni di mercato.
Posto quanto sopra è interessante evidenziare che la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 4 del 5 gennaio 2015 e n. 16 del 7 gennaio 2015, ha sottolineato che, in generale, il giudice non è vincolato al testo letterale e, quindi, alla qualificazione data dalle parti ad un istituto contrattuale, dovendo, invece, interpretare il contratto tenendo presente il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore all'istituzione di un determinato compenso (d'altra parte l'art. 1362 c.c. ammette che per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il comportamento complessivo anche, per l'appunto, posteriore alla conclusione del contratto).
Nel caso di specie, la Suprema Corte si è occupata di un compenso forfettario per eventuale lavoro straordinario, qualificato tale dalle lettere inviate dall'azienda ai dipendenti interessati – aventi la qualifica di caporeparto - e dagli stessi sottoscritte.
Tuttavia il contratto collettivo non prevedeva alcun compenso specifico per le prestazioni rese dai caporeparto al di fuori dell'orario di lavoro - eccezione fatta per il lavoro notturno e festivo che risultava, comunque, sempre retribuito a parte - e, quindi, l'azienda non aveva alcun obbligo di corrispondere alcun compenso per lo straordinario eventualmente effettuato.
Per di più, i compensi forfettari riconosciuti ai diversi lavoratori interessati differivano in misura considerevole, tanto da far dedurre al giudice che fossero correlati presumibilmente ad altri aspetti del lavoro e non già all'entità presumibile della prestazione straordinaria resa.
Ad ogni buon conto, come già chiarito in passato dagli Ermellini (Cass. 13.10.2006, n. 22050), un'attribuzione patrimoniale, che nell'equilibrio originario delle posizioni delle parti assolveva ad una determinata funzione, col tempo e con il modificarsi delle circostanze, può assumere una funzione diversa, mutando, in tutto o in parte, la ragione dell'attribuzione.
Quindi, per la Corte di Cassazione, nel caso di specie, un'attribuzione patrimoniale che – in ipotesi peraltro non dimostrata – aveva originariamente la funzione di compenso forfettario per prestazioni di lavoro straordinario si è trasformata nel corso degli anni in superminimo.
E non rileva il fatto che, in annualità precedenti, fosse possibile rapportare il compenso forfettario alla prevedibile prestazione di lavoro straordinario da parte del singolo caporeparto - non notturno né festivo - se non sia rimasto invariato nel tempo l'equilibrio tra la prestazione e la causale e, in particolare, se non siano rimasti invariati nel tempo l'orario e le modalità di organizzazione del lavoro, in funzione dei quali avrebbe potuto essere presunto che venisse effettuata una prestazione straordinaria mediamente corrispondente al compenso forfettario previsto.
In conclusione, la qualificazione di superminimo individuale, operata dal giudice, del presunto compenso per straordinario forfettizzato, non consente al datore di lavoro di effettuare riduzioni unilaterali.
In linea generale, infatti, per la riduzione del superminimo individuale occorre un accordo tra le parti, anche se si ritiene che il consenso del lavoratore ad un accordo di riduzione possa intervenire anche per comportamento concludente, che consiste nel fatto che lo stesso continui a lavorare mostrando di adeguarsi alle nuove condizioni retributive (parere 26.10.2009 n.12 della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell'Ordine Consulenti del lavoro).

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