Contenzioso

Licenziamenti, reintegra solo se il fatto non sussiste

di Giuseppe Bulgarini D'Elci

Più chiarezza sui licenziamenti disciplinari. Con la sentenza 23669 di ieri la Cassazione, rendendo la propria interpretazione dell'articolo 18, comma 4, della Legge 300/70, introdotto a seguito della Riforma Fornero (Legge 92/12), in merito al rilievo da attribuire all'inciso sull'insussistenza del fatto contestato, afferma che, al fine del riconoscimento della tutela reintegratoria in alternativa alla tutela indennitaria va verificata la ricorrenza delle condotte inadempienti ascritte al lavoratore nella loro componente materiale, prescindendo da una qualificazione del fatto sul piano giuridico.

La Suprema corte ha ritenuto che occorre operare una netta distinzione tra l'esistenza del fatto materiale e la sua qualificazione giuridica, in quanto la verifica sulla presenza, o meno, del fatto storico posto a base del licenziamento disciplinare si risolve e si esaurisce nell'accertamento, positivo o negativo, del fatto stesso nella sua componente materiale. Va escluso, per converso, che alla base di tale valutazione possano concorrere profili valutativi sull'idoneità della condotta colpevole ascritta al lavoratore sul piano disciplinare ad integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

La Cassazione ha spiegato quanto al licenziamento di natura disciplinare, che l'articolo 18, nella sua attuale formulazione, si sostanzia in due regimi differenziati di tutela: quello della reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziato, cui si accompagna il versamento delle retribuzioni mensili maturate nell'intervallo non lavorato (fino a un massimo di 12 mensilità, dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum), che si applica nel caso in cui il giudice accerti l'insussistenza del fatto contestato, ovvero che il fatto rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni della contrattazione collettiva o dei codici disciplinari applicabili; quello del riconoscimento di un indennizzo risarcitorio tra 12 e 24 mensilità, che si applica, invece, in tutte le altre ipotesi in cui emerga in giudizio che non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo richiamati nella lettera di licenziamento.

Il punto controverso era relativo alla valutazione del «fatto contestato», che si è ritenuto debba essere accertato esclusivamente nella sua componente materiale ai fini della determinazione del regime di tutela reintegratoria o indennitaria, prescindendosi dalla sua qualificazione sul piano giuridico come comportamento idoneo, o meno, ad integrare la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

L'interpretazione resa con la sentenza ribalta un precedente orientamento della giurisprudenza di merito, in forza del quale per insussistenza del fatto contestato, alla luce del nuovo testo dell'articolo 18, comma 4, della Legge 300/70, si deve intendere il fatto nella sua dimensione giuridica, comprensivo non solo della sua componente oggettiva, ma anche della sua dimensione soggettiva. In forza di questa interpretazione, le prime pronunce della giurisprudenza di merito chiamate a dare applicazione della nuova disciplina dell'articolo 18 sui licenziamenti illegittimi avevano molto ridimensionato e circoscritto gli effetti della nuova tutela meramente indennitaria, facendo rientrare nella nozione d'insussistenza del fatto contestato il fatto globalmente accertato, nell'unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente all'elemento soggettivo, e non invece il solo fatto materiale.

La Cassazione ribalta adesso questa prospettiva e afferma che il nuovo comma 4 fa riferimento al fatto oggetto di contestazione nella sua dimensione storica e materiale, ribadendo che occorre tenere distinte e separate l'esistenza del fatto materiale dalla sua qualificazione in termini giuridici. Si ha reintegrazione, pertanto, solo nel caso in cui il fatto materiale posto a fondamento del licenziamento sia risultato inesistente, dovendosi operare la relativa verifica senza margini per valutazioni discrezionali in merito alla proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento ascritto al lavoratore.

La sentenza 23669/14 della Corte di cassazione

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