Contenzioso

La sanzione disciplinare non va duplicata

di Giuseppe Bulgarini D'Elci

Il principio ne bis in idem, per il quale non possono essere coltivate due autonome e distinte iniziative giudiziarie in ordine ai medesimi fatti costitutivi di un inadempimento, trova applicazione anche ai rapporti di lavoro e, in particolare, alle azioni disciplinari che il datore di lavoro può validamente esercitare nei confronti dei dipendenti.

Questa è la conclusione della Corte di cassazione, che, con sentenza del 22 ottobre 2014 n. 22388, ha confermato l'invalidità del licenziamento di un dipendente di Poste Italiane, ritenendolo fondato sui medesimi fatti (la distrazione di una somma di denaro) in ordine ai quali era già stata esperita una procedura disciplinare, sfociata in una sanzione conservativa.

Secondo la tesi di Poste Italiane, disattesa in tutti i gradi di giudizio, il licenziamento non avrebbe violato il principio ne bis in idem, poiché era stato motivato dal passaggio in giudicato di una sentenza di condanna per peculato, idonea ad integrare, ai sensi del contratto collettivo applicato, una autonoma ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro, distinta dalla precedente azione disciplinare.

Nel proprio iter argomentativo la Suprema corte fa riferimento ad argomentazioni elaborate con riferimento al diritto penale, per cui il principio generale ne bis in idem tende ad evitare che per lo stesso fatto-reato si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti, anche non irrevocabili, l'uno indipendente dall'altro.

La Suprema corte ha dato inoltre spazio al principio, anch'esso elaborato dalla giurisprudenza penale, secondo cui il divieto di riproporre una nuova azione giudiziale a fronte delle medesime circostanze di fatto presenta un carattere generale, essendo connaturata alla ratio dell'ordinamento processuale ed assumendo una funzione di garanzia, tra l'altro, circa l'osservanza della tassatività delle ipotesi di reato sanzionate penalmente.

Con la sentenza n. 22388 la Cassazione precisa che i summenzionati dicta giurisprudenziali debbano estendersi alla normativa disciplinare. La Suprema corte afferma, in questo senso, che il principio di consunzione (in cui si compendia, appunto, la massima ne bis in idem) si applica al procedimento disciplinare privatistico, con la conseguenza che il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del dipendente in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può promuovere una seconda volta, per quegli stessi fatti, una nuova azione disciplinare, da ritenersi ormai consumata.

Ad ulteriore supporto delle proprie conclusioni, i giudici di legittimità richiamano la recente decisione dei giudici della Cedu 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, nella quale è stato affermato che, dopo la condanna definitiva di una società ad opera della Consob a sanzioni amministrative, l'avvio di un processo penale per gli stessi fatti viola il principio giuridico ne bis in idem, dovendo la suddetta sanzione considerarsi a tutti gli effetti equiparabile a quella penale e dovendo la sostanza della sanzione prevalere sulla sua forma.

La Corte di cassazione ha, quindi, concluso che il licenziamento impugnato, in quanto fondato su sentenza penale passata in giudicato relativa ai medesimi fatti oggetto di precedente sanzione disciplinare conservativa, abbia violato il principio ne bis in idem.

Cassazione, sezione lavoro, 22 ottobre 2014

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