Contenzioso

Revoca unilaterale del part-time, le esigenze del lavoratore messe in secondo piano

di Giuseppe Bulgarini D'Elci

La legge italiana – così come la legge di ogni altro Stato membro dell'Unione europea – ben può prevedere una normativa in base a cui il datore di lavoro possa disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. Così ha deciso la Corte di giustizia europea (Sentenza 15 ottobre 2014, Causa C-221/13) all'esito di una procedura di rinvio pregiudiziale avviata dal Tribunale di Trento nell'ambito di una controversia promossa da una funzionaria del ministero della Giustizia che, senza aver previamente espresso il suo consenso, si era vista trasformare in tempo pieno il contratto di lavoro a tempo parziale (si legga anche il Sole 24 Ore dello scorso 16 ottobre).

Nel rinvio pregiudiziale formulato alla Corte di giustizia, le censure del Tribunale di Trento si appuntavano sul rilievo che la norma interna – l'articolo 16 della legge 183/10, in forza della quale, in sede di prima applicazione dell'articolo 73 del Dl 112/08, le amministrazioni pubbliche, entro 180 giorni dalla entrata in vigore, possono rivalutare i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima dell'entrata in vigore del citato Dl 112/08 – determini una discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno, in quanto solo ai rapporti con i primi il datore di lavoro pubblico avrebbe facoltà di modificare unilateralmente il regime orario della prestazione lavorativa.

Ha rilevato il Giudice di rinvio, inoltre, che la norma interna finisce per ridimensionare la diffusione del lavoro a tempo parziale, ponendosi sotto questo profilo in contrasto con la finalità e i principi ispiratori dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'Unice, dal Ceep e della Ces il 6 giugno 1997. Sotto ulteriore profilo, a parere del Giudice di rinvio, l'articolo 16 della legge 183/10 si pone in contrasto con la Clausola 5, paragrafo 2, dell'Accordo Quadro, la quale, nel prevedere il divieto di licenziamento nei confronti di un lavoratore che non accetti, tra l'altro, la variazione a tempo pieno del proprio orario di lavoro ridotto, subordina al consenso del lavoratore la trasformazione in tempo pieno del part-time.

La Corte di Giustizia ha respinto la lettura offerta dal giudice di rinvio, rimarcando che l'Accordo Quadro sul part-time si è limitato ad enunciare principi generali e prescrizioni minime, rimettendo agli stati membri e alle parti sociali la definizione sul piano normativo interno di un sistema di regole idoneo a soddisfare i principi ispiratori della Direttiva comunitaria 97/81. Chiave di volta dell'interpretazione offerta dalla Corte Ue è che la Clausola 5, paragrafo 2, dell'Accordo Quadro non introduce l'obbligo per il datore di lavoro di ricercare il consenso del lavoratore alla variazione del suo orario di lavoro.

La sentenza della Corte di giustizia offre lo spazio per alcune riflessioni di segno critico sia rispetto al perseguimento dei principi generali e delle finalità della Direttiva 97/81, sia in relazione al divieto di licenziamento del lavoratore che si opponga alla trasformazione del suo regime orario di lavoro.

Se è vero che, come riconosciuto dalla Corte di giustizia, tra le finalità dell'Accordo Quadro rientra lo sviluppo del lavoro a tempo parziale in funzione (anche) di tutela delle esigenze di vita e professionali del lavoratore, l'avallo di una normativa interna che preveda la facoltà del datore di lavoro pubblico di imporre la trasformazione a tempo pieno di un rapporto di lavoro costituito a tempo parziale finisce inevitabilmente per indebolire quegli stessi principi espressi dalla disciplina comunitaria.

Alla base del part-time, in questa prospettiva, si colloca anche l'esigenza del lavoratore di poter contemperare le proprie esigenze di vita con quelle di lavoro, risultando con ogni evidenza questa finalità compromessa nella misura in cui si autorizza il legislatore nazionale ad attribuire alla pubblica amministrazione la facoltà di eliminare unilateralmente il part-time in favore del tempo pieno.

La lettura della Corte di giustizia non appare del tutto convincente neppure con riferimento alla Clausola 5, paragrafo 2, dell'Accordo Quadro sul part-time. Il senso della disposizione, a ben vedere, sembrerebbe poter autorizzare una conclusione di segno opposto rispetto a quella offerta dalla Corte di giustizia, nel senso che, se il lavoratore può rifiutare la trasformazione a tempo pieno dell'orario part-time senza per ciò stesso esporsi al rischio di un licenziamento, la conclusione più coerente dovrebbe essere quella per cui la modifica dell'orario di lavoro medesimo non può essere imposta unilateralmente al lavoratore senza il suo consenso.

La sentenza della Corte di giustizia Ue sul part-time

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