Contenzioso

Mancato rispetto degli ordini: le falle nella catena di comando possono costare caro al datore di lavoro

di Mario Gallo

Con la sentenza del 14 ottobre 2014, n. 21647, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, è ritornata nuovamente sul tema della responsabilità del datore di lavoro in conseguenza dell'infortunio occorso al lavoratore e il c.d. rischio elettivo; in tale occasione la S.C. oltre a richiamare i consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia ha focalizzato un profilo problematico tipico della realtà aziendale in cui molto frequentemente a causa di “difetti” congeniti o meramente occasionali si determinano delle falle nella catena di comando per quanto riguarda sia l'esercizio della delicata funzione di vigilanza operativa, che attualmente è demandata alla figura del preposto (art. 19 D.Lgs. n.81/2008), che il rispetto degli ordini di lavoro impartiti che spesso sono disattesi, generando così tutti i presupposti affinché anche il datore di lavoro più accorto nel rispetto dei precetti antinfortunistici possa andare incontro a responsabilità civili e penali che, occorre ricordare, possono investire anche la stessa impresa per effetto del regime sulla responsabilità amministrativa previsto dal D.Lgs. n.231/2001.
La S.C. nella sentenza in commento ha richiamato diversi profili fondamentali della disciplina antinfortunistica, primo fra tutti quello relativo al dovere generale di sicurezza del datore di lavoro nei c.d. lavori in quota; osservano, infatti, gli Ermellini che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali non può essere sostituito dall'uso delle cinture di sicurezza, che è una misura di carattere generale e imperativo, ma complementare, nel senso quando sia comprovata l'impossibilità della relativa concreta realizzabilità il datore di lavoro può essere esonerato dall'obbligo di fornire la protezione delle cinture, purché i suddetti impalcati di protezione e parapetti siano idonei a scongiurare del tutto il rischio di caduta dall'alto e non soltanto a facilitare il lavoro, o, tutt'al più ad attenuare soltanto tale rischio.
In altri termini le cinture di sicurezza così come ogni altro dispositivo di protezione individuale (DPI) non può essere utilizzato a fronte di carenze nelle misure di prevenzione – si pensi, ad esempio, ad una sega circolare sprovvista di protezione a cui è addetto un operaio provvisto di guanti anti taglio – ma ha la funzione, ben diversa, ossia quella ora delineata dall'art. 75 del D.Lgs. n.81 del 2008, in base al quale i DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.
Nel caso de quo, quindi, la S.C. ha condiviso le conclusioni della Corte d'appello che ha ritenuto inapplicabili gli artt. 10 e 70 del D.P.R. n. 164 del 1956, invocati dall'INAIL perché, a quanto emerso dagli atti, non era possibile ancora approntare l'ancoraggio delle cinture di sicurezza.
La S.C., pertanto, ha ritenuto infondati il primo e il secondo motivo del ricorso presentato dell'INAIL mentre per quanto riguarda il terzo sul c.d. rischio elettivo lo ha ritenuto fondato, disponendo così l'annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Venezia; infatti, ad avviso dei giudici di legittimità la Corte Triestina non ha indicato le ragioni né ha specificato adeguatamente le modalità del suddetto allontanamento dal camminamento predisposto e non ha “chiarito se nella condotta del lavoratore siano, in concreto, rinvenibili tutti gli elementi per configurarla come abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, sicché essa, come tale, sia da considerare idonea a comportare l'esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità rispetto all'infortunio o se, invece, l'incidente si sia verificato per colpa esclusiva o concorrente del lavoratore” che, invero, non esclude la responsabilità del datore di lavoro.
In definitiva, spetterà alla Corte d'Appello di Venezia compiere un ulteriore esame del merito della controversia attenendosi al principio in base al quale in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione.
Osserva ancora, la S.C. che tale genere di rischio - che è in grado di incidere, escludendola, sull'occasione di lavoro – si caratterizza per il simultaneo concorso di tre elementi ossia la presenza di un atto volontario ed arbitrano, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive, nonché la direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali.
Il terzo, invece, è la mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa; pertanto, l'esonero della responsabilità datoriale è in dipendenza di questi elementi mentre in caso contrario qualora l'incidente si sia verificato per colpa esclusiva o concorrente del lavoratore, tale situazione “non esclude la responsabilità del datore di lavoro, tanto più in ipotesi particolarmente delicate, quali sono quelle di caduta dall'alto verificarsi nella fase iniziale di approntamento delle misure protettive, come quella di cui si tratta, tanto più in ipotesi particolarmente delicate, quali sono quelle di caduta dall'alto verificatasi nella fase iniziale di approntamento delle misure protettive, come quella di cui si tratta”.
Insomma, il fatto che il lavoratore abbia disatteso gli ordini può, comunque, costare caro anche al datore di lavoro qualora egli abbia colposamente omesso le prescritte misure di prevenzione e protezione tra cui, come accennato, anche la vigilanza tramite il preposto che nelle attività pericolose come quella di specie ne richiedono necessariamente la presenza sul campo.

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