Contenzioso

Per l’imponibile previdenziale vale la retribuzione del contratto collettivo firmato dalle sigle più rappresentative

di Silvano Imbriaci

Il TAR Lazio 8865 del 2014 afferma alcuni principi interessanti in materia di determinazione dell'organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa ai fini dell'individuazione della base imponibile a fini contributivi.

La questione riguarda la corretta applicazione dell'art. 2, comma 25 della legge n. 549/2005, quale norma autenticamente interpretativa dell'art. 1, l. n. 389/1989. In caso di pluralità di contratti collettivi, la norma stabilisce che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria.

Il caso riguarda l'impugnazione di una circolare con cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aveva fornito alcune precisazioni in ordine ai criteri di individuazione dei contratti collettivi nazionali da prendere a riferimento ai fini retributivo/contributivi, individuando nel contratto collettivo nazionale sottoscritto da CGIL, CISL e UIL, Legacoop e Confcooperative. Con la conseguenza che, in presenza di applicazione di contratti collettivi diversi, le istruzioni diramate ai servizi ispettivi impongono il calcolo delle differenze retributive e contributive (tramite gli enti previdenziali) e l'adozione di una apposita diffida accertativa. In sostanza tale opzione avrebbe l'effetto, secondo la prospettiva dei ricorrenti, di mortificare e svalutare il necessario pluralismo sindacale, a fronte di un vero e proprio obbligo da parte degli ispettori di applicare il contratto come individuato in sede ministeriale. Il Ministero avrebbe dunque determinato in via autoritativa il contratto leader da seguire per determinare la base imponibile, in spregio dei criteri esposti nella norma di legge di riferimento sopra indicata, che impone di contemperare il criterio della maggiore rappresentatività con il principio del pluralismo negoziale in materia di contrattazione collettiva. Tale ultimo principio si esprime nella necessità di una valutazione comparativa, dettata dalla presenza sul territorio di contratti collettivi destinati a singole categorie. In particolare, nel caso di specie, i contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali diverse da quelle indicate dal Ministero, risultavano essere, nella prospettazione dei ricorrenti, più aderenti al mondo complesso delle cooperative.
La tesi del Tribunale Amministrativo del Lazio muove dal contenuto della norma, soffermandosi sull'interpretazione del termine comparativamente, che ha introdotto un elemento di confronto di oggettivi parametri numerici sulla base dei quali deve essere determinato il grado di rappresentatività (numero delle imprese associate, numero dei lavoratori occupati,, diffusione territoriale, numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti). Il fatto che un'organizzazione sindacale rientri nell'elenco delle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello ministeriale, sotto questo profilo non ha una rilevanza assoluta. Per la selezione del contratto riferibile a queste organizzazioni occorre qualcosa di più: la dimostrazione che l'organizzazione sia comparativamente più rappresentativa della categoria, secondo l'interpretazione data dall'art. 2, comma 25 cit. Non vi è, sotto questo profilo, alcuna invasione di campo del Ministero, in quanto l'interpretazione ministeriale si inserisce in un quadro di misure volte a contrastare l'evasione contributiva, nell'ambito pacifico delle competenze attribuite agli ispettori di vigilanza. Non vi è dunque alcuna contrapposizione tra modello pluralistico e modello monistico, ma una semplice istruzione agli organi di vigilanza per consentire un più agevole recupero di somme che altrimenti potrebbero sfuggire all'imposizione contributiva.

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