Contenzioso

L’inadempimento sulla retribuzione non cambia la misura dell’obbligo contributivo

di Elena Signorini

Varie sono le questioni affrontate nella pronunzia della Cassazione 20595 del 30 settembre 2014 in esame.
La vicenda, che trae origine dalle erogazioni effettuate a titolo di indennità di trasferta e indennità per tempi di viaggio, sollecita la Corte a sviluppare anche altre tematiche inerenti, sia le modalità di elaborazione delle doglianze da parte del ricorrente, sia l'individuazione della nozione di minimo retributivo utile a fini contributivi nell'ambito delle previsioni del contratto collettivo nazionale di categoria e del contratto integrativo aziendale.
La pronuncia, che si conclude con il rigetto del ricorso della società datrice di lavoro, interviene in tema di retribuzione imponibile e minimale retributivo ai fini contributivi confermando un orientamento oramai consolidato (tra le altre Cass. n. 8620 del 1999; Cass. 1898 del 1997; Cass. 5547 del 1993) in virtù del quale il collegamento dei contributi previdenziali alla retribuzione va inteso nel senso che la base imponibile deve restare insensibile agli eventuali inadempimenti del datore di lavoro all'obbligazione retributiva, dovendo in ogni caso farsi riferimento a tutta la retribuzione dovuta, a prescindere da quella materialmente erogata, e, quindi, a tutta quella che il lavoratore ha diritto di ricevere.
Nell'ambito di questa disciplina, l'art. 1 del D.L. n. 338/1989, convertito nella L. n. 389/1989, confermato espressamente dall'ottavo comma dell'art. 6 del D. Lgs. n. 314/1997, ha stabilito il limite minimo di retribuzione imponibile ai fini contributivi, prevedendo che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale non possa essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
Nel caso in esame la società datrice di lavoro impugna la decisione di secondo grado interrogando la Corte in merito alla qualificabilità come indennità di trasferta e indennità di tempi di viaggio, con conseguente assoggettamento all'art. 48, co.5, del Tuir, oggi, art. 51, co. 5, delle indennità erogate per l'attività prestata dai lavoratori quotidianamente presenti presso la sede aziendale e frequentemente inviati presso cantieri posti fuori dal comune dove ha sede, senza obbligo di pernottamento all'esterno della propria abitazione e con versamento delle indennità per esso previste.
Tale posizione era stata contestata dall'Inps allorquando aveva recuperato a contribuzione parti delle indennità erogate, evidenziando come nel caso in questione i lavoratori destinatari delle erogazioni in contestazione erano legati alla azienda datrice di lavoro da un contratto che li obbligava a prestare quotidianamente la propria prestazione lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi. Ne derivava secondo l'Istituto la riconducibilità di tali soggetti nella categoria dei trasfertisti con la conseguente applicazione alle indennità loro erogate delle previsioni di cui all'art. 48, co. 6 TUIR, oggi art. 51, co. 6.
Nella questione qualificatoria, che vede accolta la posizione dell'Inps in tutti i gradi di giudizio, si inserisce la vicenda volta ad individuare i parametri retributivi minimi utili ai fini contributivi, ciò in considerazione del fatto che nel caso di specie il calcolo della contribuzione previdenziale, relativa alla indennità per tempo di viaggio, avrebbe dovuto esser effettuato in relazione a quanto stabilito dal CCNL del settore e non già in relazione alla previsione più sfavorevole di cui al contratto aziendale integrativo.
La doglianza del ricorrente è ritenuta infondata e la Corte rammenta che ai sensi dell'art. 12 della l. n. 153 del 1969 per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro con esclusione di determinate somme specificatamente indicate nel secondo comma del medesimo articolo. Il parametro per determinare l'obbligo contributivo minimo, ravvisabile nei contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, è solo un parametro virtuale poiché la retribuzione stabilita dal contratto collettivo non è sempre e necessariamente quella dovuta al dipendente, poiché questa può essere legittimamente inferiore nel caso in cui non sia obbligatoria l'applicazione della contrattazione collettiva di diritto comune (Cass. n. 801 del 2012). La Corte specifica altresì come le previsioni contenute negli accordi aziendali integrativi come quello in esame rilevino ai fini contributivi solo quando determinino una retribuzione superiore al minimale, mentre, in caso contrario restano irrilevanti e la contribuzione va parametrata al minimale. La determinazione del minimo retributivo utile ai fini contributivi deve esser pertanto effettuata utilizzando quanto stabilito dal CCNL di categoria in luogo del trattamento economico previsto dal contratto integrativo aziendale, ove più sfavorevole (Cass. n. 12122 del 1999) .

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