Contenzioso

Nuove prospettive con la quota lite

di Guglielmo Saporito


La Corte di cassazione ha fornito indicazioni precise per i compensi di tutti i professionisti, eliminando divieti e limiti ai patti definibili come “quota lite”. La sentenza 20839 del 2 ottobre è stata ottenuta da un consulente del lavoro ma giova a tutti i liberi professionisti, perché riguarda tutte le attività che non coinvolgono organi giudiziari.

In estrema sintesi, il patto di quota lite è la partecipazione percentuale del professionista al risultato pratico dell'attività svolta. Secondo la Cassazione, i limiti all'utilizzabilità della quota lite riguardano solamente l'attività giudiziaria (jus postulandi) cioè le attività riservate agli operatori di giustizia, che si esercitano nelle aule giudiziarie. Per tutti gli altri casi, indipendentemente dalla tipologia delle professioni (siano esse o meno riservate, cosiddette “collegiate”), la Cassazione ammette in modo esplicito la possibilità di pattuire un compenso parametrato al risultato.

Presupposto della corretta applicazione di un patto relativo al compenso professionale è l'esistenza di un contratto, anche se la forma scritta non è necessaria (articolo 9 del decreto legge 1/2012, che chiarisce il precedente decreto Bersani 223/2006; articolo 13 della legge 247/2012 per gli avvocati). Nessuna delle norme professionali vigenti limita l'entità massima del compenso, né vi sono limiti al sistema di calcolo e di erogazione del compenso medesimo (anticipi, saldi, palmari finali). Esistono peraltro limiti civilistici (articolo 1448 del codice civile) all'equilibrio delle prestazioni del professionista, limiti che impediscono eccessi derivanti da ignoranza da parte del cliente (che può ritenere molto problematica una situazione che invece è di agevole soluzione), o da situazioni di bisogno.

Messe da parte tali circostanze, tutte le attività professionali che non si espletano davanti a un organo di giustizia possono essere remunerate stabilendo una proporzione rispetto ai vantaggi conseguiti o conseguibili da parte della cliente, vantaggi sia materiali che morali. In questo modo, cambia anche il rapporto tra professionista e prestazione resa, in quanto fino alle recenti riforme del 2006 l'obbligazione del professionista era solo “di mezzi”, cioè imponeva di fare tutto il possibile per raggiungere un certo risultato, senza tuttavia che il risultato stesso fosse garantito. Oggi, invece, ancorando il compenso al risultato attraverso una percentuale, il professionista si offre come soggetto idoneo a raggiungere un certo risultato: con la conseguenza che se tale risultato non è raggiunto il compenso non viene corrisposto nella percentuale pattuita.

Si è sottolineato che questo ragionamento non opera per l'attività giudiziale, in quanto per gli avvocati l'articolo 13 comma 4 della legge 247/2012 evita che il legale possa introdursi in equilibri personali (ad esempio acquisendo quote di società o di proprietà oggetto di lite). Un divieto identico a quello che impedisce al creditore di acquisire la proprietà di un bene ipotecato o pignorato qualora non venga soddisfatto il suo credito nel termine fissato (articolo 2744 del codice civile, cosiddetto patto commissorio). Ma, come si è detto, in tutte le prestazioni professionali diverse da quelle giudiziarie, vi è ampia libertà nella quantificazione del giusto corrispettivo: del resto anche la pubblica amministrazione si è adeguata al meccanismo, ammettendo (Consisglio di Stato 3042/2014) il cosiddetto success fee e cioè il premio di risultato qualora si consegua in particolare vantaggio.

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