Contenzioso

Con la stabilizzazione attenti al repechage

di Marzia Sansone

La trasformazione a tempo indeterminato di un contratto di lavoro a termine incide sull'adempimento dell'obbligo di repechage, anche se avvenuta prima del recesso, ed anche se le mansioni oggetto di tale rapporto sono inferiori rispetto alle competenze del lavoratore licenziato per soppressione della posizione lavorativa.

Lo ha stabilito il tribunale di Roma, sezione lavoro, con la sentenza 8472 del 22 settembre 2014, resa al termine del giudizio di opposizione all'ordinanza che conclude la fase sommaria del “rito Fornero”.

Con questa pronuncia, il tribunale – pur ammettendo la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento – ha condannato il datore di lavoro a corrispondere a una dipendente un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in considerazione della omessa dimostrazione di aver ricercato, nell'ambito della propria organizzazione, posizioni organizzative nelle quali impiegare la dipendente al fine di evitare il suo licenziamento.

Il tribunale giunge a tale conclusione sulla scorta del fatto che, 3 mesi prima del licenziamento, il datore di lavoro aveva provveduto a trasformare a tempo indeterminato il rapporto di lavoro di una lavoratrice a termine e questo fatto comporterebbe il mancato assolvimento dell'obbligo di repechage, anche a prescindere dall'equivalenza delle mansioni. Ciò in quanto, secondo il giudice (con un'interpretazione estensiva rispetto alla giurisprudenza maggioritaria che delimita l'obbligo alle sole mansioni equivalenti), anche nel caso in cui le mansioni affidate al lavoratore stabilizzato fossero inferiori rispetto a quelle del licenziato, l'azienda avrebbe comunque avuto l'onere di offrire al dipendente, prima di recedere dal rapporto, la posizione oggetto di stabilizzazione. Tale obbligo scatta, secondo il giudice, se le mansioni, pure diverse o inferiori, sono “simili” o comunque “non incompatibili” con quelle precedenti.

Un altro elemento particolare della pronuncia riguarda i tempi: la stabilizzazione della persona era avvenuta ben prima del recesso. La sentenza in concreto non chiarisce in che modo andava attuato il repechage alla luce di tali tempistiche.

Il tribunale affronta anche il tema dell'onere della prova, ritenendo non necessario che il lavoratore indichi quali sono i posti di lavoro, esistenti nella struttura imprenditoriale, che siano compatibili con la sua qualifica e le sue mansioni e non siano già occupati da altri lavoratori.

La sentenza, infine, conferma l'orientamento maggioritario in merito alle conseguenza collegate alla violazione dell'obbligo di repechage dopo la riscrittura dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori operata dalla legge 92/2012.

Secondo tale orientamento, ormai consolidato, per l'inadempimento dell'obbligo di repechage non si applica la sanzione della reintegra (a patto, ovviamente, che il giustificato motivo sia realmente esistente), ma la sanzione economica del pagamento di un'indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità dell'ultima retribuzione.

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